Desiderio o Volontà (1/2)

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La ragazza più forte e coraggiosa che io abbia mai incontrato, Betsy George, una volta mi disse che l'ansia dei primi appuntamenti è sopravvalutata.

"Non è così orrenda come si crede, anzi" aveva affermato sicura. "Ti dona un brivido di eccitazione che non puoi vivere in nessun altro modo."

Già all'epoca sapevo di non potermi affidare alle sue parole, poiché a pronunciarle era stata proprio lei, che per natura non era in grado di aver timore di niente e nessuno; quella che non si era spaventata nemmeno quando, al liceo, un ragazzo omofobo aveva minacciato di farle fare una brutta fine, se l'avesse rivista baciarsi con la sua fidanzata Melany.

Di risposta, Betsy lo aveva provocato ancora e ancora, inducendolo a peggiorare e aggravare ancor più le sue minacce, e poi era andata nello studio della preside e le aveva fatto ascoltare la registrazione che aveva fatto di nascosto col telefono.

Il ragazzo si era preso tre settimane di sospensione e poi uno dei suoi calci volanti, quand'erano fuori da scuola.

Quindi sì, ero cosciente di non potermi affidare minimamente alle sue parole, ma non pensavo fino a quel punto.

Stavo per andare in iperventilazione a causa dell'ansia, non potevo neanche fumare per rilassarmi, perché non avevo alcuna intenzione di puzzare di nicotina a quell'incontro.

E la cosa ridicola di tutto ciò era che nemmeno ero sicura che il mio fosse un appuntamento vero e proprio, in senso romantico.

Mancavano dieci minuti alle sei, dieci minuti prima che Dante si presentasse a casa mia, ed io continuavo ad esser straziata da migliaia di desideri che si scontravano tra di loro.

Il primo tra tutti, ovviamente, era quello di lanciarmi dalla finestra così da non dover affrontare lo scoglio dell'appuntamento-non-so-ancora-se-romantico. Dubitavo avremmo potuto realizzarlo in ambulanza o in ospedale.

Il secondo era quello di mandare a monte tutte le ore trascorse con Minnie mentre lei mi aiutava – torturava – a prepararmi per quell'evento.

Perché non si era limitata a sistemarmi i capelli, purtroppo per me, con la sua tecnica "Tu braccio schiavo, io mente schiavista", no.

Si era assicurata in tutto e per tutto che mi vestissi e agghindassi a dovere come di rado mi era capitato di fare anche prima che si scoprisse la verità su papà.

Lei aveva affermato che ero perfetta, io invece mi vedevo solo come una cosa.

Ridicola.

Per quella che doveva essere la settantesima volta, rientrai in bagno per guardarmi allo specchio sul lavandino. Detestavo farlo, io e gli specchi non eravamo mai andati d'accordo, non con le memorie che possedevo di loro, ma stavolta non avevo scelta.

Il riflesso che ottenni mi sciolse tutti i pensieri.

Era davvero troppo.

Minnie, attuando la tecnica che si era inventata per merito dei suoi gatti – dopo aver visto Tortellino comandare Pasticcino per far cadere a terra un bicchiere su un mobile a cui lui, con le sue rotelline, non poteva arrivare – era riuscita non solo a dare ai miei ricci una forma vera e propria, non più crespa e compatta come sempre, ma li aveva anche sfoltiti e accorciati fino a poco oltre le spalle, così che il loro peso non mi gravasse più come prima.

Io, con le mie mani e sotto sua attenta osservazione, mi ero occupata della parte tattile sul capo: farmi lo shampoo, dividere le varie ciocche, pettinarle. Lei si era occupata della sfoltitura, prendendo i ricci dalle loro punte per non dovermi toccare e applicando i vari prodotti sulla lunghezza delle ciocche.

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