Napoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico.
Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...
Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Arechi divenne davvero il mio cane da guardia. Non mi seguì solo nell'arco di quella giornata ma anche nel corso di quella successiva, durante le lezioni e nei momenti con le mie amiche. La sua presenza era costante e invadente. Ero almeno riuscita a convincerlo ad aspettare fuori la porta del bagno delle donne ma solo dopo aver controllato preventivamente che non ci fosse nessuno appostato all'interno.
Io e Brando riuscimmo a vederci solo durante la colazione. Ci eravamo seduti vicini e avevamo chiacchierato, scambiandoci sguardi intensi ma null'altro. Dall'altro capo del tavolo sentivo gli occhi verdi di Arechi osservarmi costantemente, e con il suo nervosismo per poco non spaccò un bicchiere di vetro.
Non mi era neanche possibile incontrare l'Orso nella mia stanza, come eravamo soliti fare fino a quel momento, perché la mia porta era sempre piantonata. Insomma, ogni tipologia di riservatezza era scomparsa dalla mia vita e cercavo di tenere duro solo perché erano passati appena due giorni e potevo ancora capire e giustificare l'apprensione del Lupo.
Eravamo insieme, io e Arechi, di ritorno dalla lezione di magia che anche oggi avevo fallito. Hermelinda aveva cercato di guidarmi nella respirazione, nel riprendere a usare gradualmente il mio potere, nel farlo diffondere nel corpo per poi sprigionarlo sulle dita, come ero riuscita a fare fino a quel momento senza difficoltà. Ma questa volta ogni tentativo fu vano.
In realtà, riuscivo benissimo ad alimentare e toccare il mio fuoco, semplicemente non volevo farlo. Lui era lì, una tranquilla fiammella contenuta, ma ogni volta che ero pronta a usarlo la nausea mi attaccava lo stomaco ed ero costretta a fermarmi.
L'unica cosa a cui pensavo e che avrei voluto affrontare più di tutte era Silvia. Avevo ancora l'intenzione di vederla e di parlarle e speravo potesse bastare a fare pace con me stessa.
Fermai di colpo i passi al centro di un piccolo ambiente di smistamento. Strinsi i pugni e rimasi a fissare la nuca di Arechi che mi precedeva, finché lui non si accorse che ero rimasta indietro. Si voltò a guardarmi con improvvisa sorpresa e piegò il capo di lato. Era stanco, glielo leggevo in faccia. Non dormiva e, se lo faceva, doveva essere un sonno leggero, visto che non abbandonava mai la mia porta. Teneva costantemente la mascella serrata e lo sguardo furente.
A distanza di due giorni non era riuscito a distendersi e, farmi la guardia notte e giorno, non doveva essere d'aiuto al suo umore.
"Non è necessario che tu stia al mio fianco in ogni spostamento." Gli dissi brusca, anche io ero al limite e la frustrazione dentro di me cresceva a dismisura.
I suoi occhi verdi si incupirono e la muscolatura si tese. Non avevamo affrontato fino ad ora quell'argomento ma sapevo, per mezzo di Costanza, che Manfrit aveva insistito perché cambiasse atteggiamento. Ovviamente, invano.
"So io cosa è necessario." Arechi fu altrettanto brusco. "Ed è necessario che io ti protegga."
Sospirai esausta e allargai le braccia, indicandogli ciò che ci circondava.