Napoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico.
Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...
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Il resto dell'incontro si protrasse in spiegazioni su come avremmo raggiunto il bosco che nascondeva l'albero sacro dai mali intenzionati. Ebbi la forza di seguire tutti i discorsi con quel briciolo di lucidità a cui mi ero aggrappata con tutta me stessa.
Aurona mi spiegò che l'albero si trovava nei territori limitrofi alla città di Benevento e questo era un problema non di poco conto. La città era la roccaforte dei micaelici e questo ci metteva in una netta posizione di svantaggio, avrebbero sicuramente percepito la nostra presenza, ma avremmo avuto il tempo necessario a portare a termine lo scioglimento del sigillo prima di essere scoperti.
Era un piano con molte incognite, decisamente troppe, ma non vi erano alternative. Dovevamo raggiungere l'albero sacro prima che decidesse di spostarsi altrove.
Fu Ulfari a spiegarmi come avremmo raggiunto Benevento quella notte: smaterializzandoci. La parola mi fece rabbrividire e fu inutile cercare di tenere nascosta la mia reazione. Il mio corpo si sarebbe scomposto unendosi al vento, alla polvere, alle foglie, e avrei viaggiato fino alla nostra meta dove mi sarei nuovamente riappropriata della mia fisicità. Mi sembrò una follia e lo dissi ad alta voce, generando sorrisi divertiti sui volti dei tre insegnanti.
La risposta fu comunque la stessa: non avevamo tempo né alternative. Bisognava agire il prima possibile.
Terminato l'incontro, trascorsi la restante giornata rinchiusa in una bolla. Qualsiasi rumore improvviso mi faceva sobbalzare per lo spavento, ero costantemente sulla difensiva e non riuscivo a fare a meno di pensare a quello che avrei dovuto affrontare.
Continuai la lezione con Arechi, o meglio, lui portò a termine l'intruglio che stava preparando con cui riempì diverse piccole boccettine di vetro, chiudendole poi con tappi di sughero. Io avevo perso la concentrazione per riuscire a portare a termine il compito che mi aveva assegnato. Finsi di pestare ossessivamente nel mortaio utilizzando quelle piante come scusa per scaricare la paura che mi faceva contorcere lo stomaco.
Sentivo su di me gli occhi pazienti di Arechi che per quella giornata decise di risparmiarmi. Non ci furono battute, non ci furono prese in giro né mi fulminò con lo sguardo quando abbandonai a metà il composto cicatrizzante. Ero certa che sapesse già quello che mi avevano comunicato i professori, in fin dei conti era un membro del Consiglio.
Saltai la cena, preferendo perdermi tra le gallerie tetre e giallognole dell'Accademia piuttosto che sedermi con gli altri e fingere di essere disposta a chiacchierare come se nulla fosse. Tra soli due giorni la mia vita sarebbe cambiata definitivamente.
Ero distrutta fisicamente e mentalmente quando tornai nel dormitorio femminile. Fissai la porta della mia stanza, ma non mi ci avvicinai neanche. Bussai, invece, a quella di Costanza sperando che fosse disposta ad accogliermi. Il cuore mi martellava nel petto mentre aspettavo in silenzio che lei mi aprisse e, quando lo fece, si trovò dinanzi il mio volto pallido e scavato.