Napoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico.
Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...
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Lentamente stavo riprendendo coscienza del mio corpo, ma mi era impossibile capire quanto tempo fosse trascorso da quando ero svenuta.
Mi sentivo spossata e pesante come un macigno, come se avessi trascorso le ultime ventiquattr'ore a combattere incessantemente con Giulia. Per mia fortuna riposavo sul morbido, un materasso probabilmente, e fresche lenzuola mi avvolgevano e proteggevano dal freddo.
Ero cosciente, ma non riuscivo ancora a dare l'impulso ai miei occhi di riaprirsi per capire dove mi trovassi. Per alcuni istanti non ricordai che cosa era successo, la mia mente era ancora intorpidita e assonnata.
Poi, come dei flash, immagini di quello che avevo vissuto comparvero ad uno ad uno nella mia testa. Mi ero smaterializzata, avevo trovato l'albero che mi causava quegli strani sogni, avevo visto cosa e chi potevo diventare e il sigillo... Aggrottai le sopracciglia. Ero libera.
Per quanto il corpo fosse pesante, la mia essenza era leggera e un fuoco dirompente crepitava al centro del mio petto. Riuscivo a percepirlo mentre quella forza si diffondeva in ogni angolo del mio corpo facendomi sentire incredibilmente viva e... forte. Per la prima volta nella mia vita.
Non ebbi il coraggio di meditare, come mi aveva insegnato Costanza, per raggiungere quella forza e osservarla da vicino, toccarla. Temevo di farlo nel modo sbagliato o di non essere capace a fermarla. Già adesso quel fuoco dirompente mi intimoriva.
Concentrai le mie forze, invece, nello sforzo considerevole di aprire gli occhi. Sollevai lentamente le palpebre, ma vidi sfocato. Le sbattei una, due, tre volte, e solo in quel momento la mia vista sembrò collaborare.
L'odore pesante del tufo mi riempì le narici, come se i miei sensi si stessero risvegliando a poco a poco. Carezzai le lenzuola fresche con i polpastrelli delle dita. Ero in infermiera, ero tornata al sicuro nell'Accademia.
Sorrisi tra me e feci per guardarmi intorno. Un avvallamento nel materasso attirò la mia attenzione e presto ne capii il motivo. Arechi aveva avvicinato una sedia e, chino sul letto all'altezza delle mie ginocchia, dormiva profondamente. Aveva il viso rivolto verso di me, le braccia incrociate sulle lenzuola gli sostenevano il capo. Sembrava sereno e la schiena si sollevava ed abbassava seguendo il suo respiro regolare.
Ricordai che mi aveva stretto tra le braccia quando l'albero mi aveva lasciato andare, il suo viso sporco di sangue era impresso nella mia mente. Eppure, in quel momento, il suo volto era pulito e impeccabile. L'unica nota stonata erano gli abiti da guerriero che ancora indossava, intrisi di polvere, e le mani sporche in egual modo. La cintura e i coprispalle erano stati slacciati ed appoggiati allo schienale della sedia.
Trattenni il fiato mentre lo osservavo. La sua presenza era una sorpresa inaspettata per me, seppur piacevole. E quell'ultimo pensiero mi suonò strano anche solo formularlo nella mente.
Sollevai una mano tremante e cercai di raggiungere quelle ciocche di capelli neri con l'intento di scostarglieli dal viso. Non feci in tempo. Forse percependo una presenza estranea, Arechi spalancò gli occhi e scattò indietro con la schiena.