Capitolo 3

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Quando riaprii gli occhi mi trovai nuovamente nel cuore della foresta, al centro esatto di una radura

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Quando riaprii gli occhi mi trovai nuovamente nel cuore della foresta, al centro esatto di una radura. Davanti a me svettava l'imponente albero circondato da un'aura luminosa. Sbattei le palpebre diverse volte, ero incredula di trovarmi al suo cospetto. Lasciai vagare lo sguardo sullo spazio circostante, trattenendo istintivamente il respiro. Il mio timore era quello di vedere comparire nuovamente quell'enorme serpente che mi aveva inseguita l'ultima volta. Mi aspettavo che potesse sbucare, da un momento all'altro, dall'oscurità della foresta. Invece, un vento leggero iniziò a soffiare contro la mia schiena, sospingendo in avanti la camicia da notte bianca che indossavo, la stessa di sempre. Non capivo che cosa volesse dire tutto questo e che cosa avrei dovuto fare. Il vento soffiò sempre più forte costringendomi ad avanzare a piccoli passi verso l'albero. Non seppi il perché ma tentai di opporre resistenza, cercai strenuamente di piantare i piedi al suolo ma non riuscivo a fermare la mia avanzata. "Sorella, è arrivato il momento di svegliarsi!" una voce calda e femminile riecheggiò attorno a me e non fui capace di capire da dove provenisse. Tornai a puntare gli occhi sull'albero che, a furia di avanzare, divenne sempre più vicino. Ebbi l'impressione che la sua luce continuasse ad aumentare, sempre di più, sempre di più...finché non mi accecò.

Quando riaprii gli occhi la luce presente nella stanza mi accecò per alcuni istanti rendendomi impossibile capire dove mi trovassi. Sollevai una mano nel tentativo di schermare gli occhi da quella forte luce e socchiusi le palpebre, ma ogni tentativo fu vano. Non riuscivo in alcun modo a mettere a fuoco il posto in cui mi trovavo. Il mio corpo era troppo spossato per poter collaborare. Riuscivo a sentire la pesantezza degli arti e anche quella della mente.

Il sogno della foresta era ancora vivido nella memoria ma si eclissò in un attimo quando ricordai ciò che era successo nel cortile del mio palazzo. Il terrore tornò ad impadronirsi del mio corpo. Ero stata rapita, qualcuno si era appostato nel buio per portarmi via di lì e, cosa ancora più sconcertante, conosceva il mio stato di salute. Sapeva che non ero in grado di difendermi e di opporre resistenza.

Cercai goffamente di tirarmi su, nonostante la vista non mi aiutasse a capire su cosa mi trovassi e in che razza di ambiente, ma le forze mi abbandonarono quasi subito facendomi accasciare su qualcosa di morbido. Mi sentivo impotente. Non riuscivo a vedere nitidamente e non riuscivo neanche a mettermi seduta... ero terribilmente patetica.

"Vedo che finalmente ti sei svegliata."

Quei miei movimenti dovevano aver attirato l'attenzione di chi, evidentemente, era presente nella stanza. La voce maschile mi sembrò essere la stessa dell'uomo che mi aveva rapito ma non potevo affermarlo con certezza. Cercai disperatamente di individuarlo in mezzo a tutti quei colori sfocati che non riuscivo a mettere a fuoco.

"Non sforzarti. Mentre ti portavo qui ti è risalita la febbre e al momento sei molto debole." La voce calma dello sconosciuto mi spiegò la situazione. "Sto aspettando che il distillato sia pronto così da poterti aiutare."

Mi irrigidii nel sentire quelle parole. Ero a disagio e terrorizzata. Per quanto l'uomo cercasse di usare un tono pacato, era comunque colui che mi aveva portata via dal mio palazzo. E non riuscire a vedere assolutamente nulla non mi aiutava a tranquillizzarmi. Mi sentivo tradita dal mio stesso corpo, incapace di reagire e di essere utile in un momento così delicato.

Non pronunciai neanche una parola e sicuramente non avrei bevuto alcunché offerto dalle mani del mio rapitore. La luce forte della stanza mi accecava ed ero costretta a socchiudere le palpebre per difendermi gli occhi ma cercavo ugualmente di rimanere vigile e attenta così da cogliere eventuali strani spostamenti davanti a me.

Lo sconosciuto, forse accorgendosi di quanto fossi agitata, sospirò nuovamente. Doveva essere una sua abitudine.

"Mi sembra di averti già detto che non voglio farti del male. So che sei spaventata ma non c'è bisogno di stare sulla difensiva."

Avrei voluto rispondere ma riuscii solamente a schiudere le labbra. Quel gesto mi causò una sofferenza incredibile e in quel momento mi accorsi di quanto avessi la bocca secca. Eppure non ero disposta ad abbassare minimamente la guardia, per quanto fosse inutile.

"Chi sei?" riuscii a chiedere a stento.

"Mi chiamo Gisulf Lotario." Disse subito ed una sagoma scura comparve nel mio campo visivo. "In questo momento ti trovi a casa mia e sei al sicuro."

Nel sentire quelle ultime parole inarcai un sopracciglio con fiera aria dubbiosa e la mia mano strinse con più forza il bracciolo su cui era appoggiata. L'uomo, però, non sembrò prendere minimamente in considerazione le mie espressioni perché continuò a parlare.

"Ho avvisato altre due persone che saranno qui tra poco. Persone fidate, non devi preoccuparti." Si fermò per qualche istante ed ebbi l'impressione che mi stesse scrutando il viso. "Immagino che tu abbia molte domande da farmi ma non è il caso che ti sforzi. Probabilmente starai meglio appena berrai l'infuso e, a quel punto, potremmo parlare con tranquillità."

Vidi un movimento, forse Gisulf si stava voltando per allontanarsi dalla seduta che occupavo e cercai nuovamente di aprire la bocca per parlare. Ogni movimento mi costava caro ma cercai di sollevarmi ugualmente sulle braccia.

"Non berrò nulla..." sussurrai. "Che cosa sei? Sei... un demone anche tu?"

Anche se la febbre era tornata a devastare il mio corpo, ricordavo bene quello che mi aveva fatto, la luce azzurrina che era comparsa nella sua mano dopo aver pronunciato quella parola priva di senso. Subito dopo avevo perso i sensi ed ero certa che fosse stato per colpa di quello strano sortilegio.

Vidi Gisulf voltarsi nuovamente verso di me e lasciarsi andare ad una breve risata.

"È questo che ti hanno detto su di te? Che sei un demone?" il tono ironico con cui pronunciò quelle domande mi fece corrugare la fronte. "Non lo sei. Forse lo sono io ma sicuramente non tu."

Vidi un movimento della sua testa, seguito da un sospiro. A quel punto scomparve definitivamente dal mio campo visivo. Ero di nuovo sola e sconvolta, abbandonata su quella specie di poltrona allungata a fissare quella nebbiolina che mi offuscava la vista. Non sapevo cosa pensare se non che la mia vita stava diventando peggiore degli incubi che mi assillavano durante la notte. Le forze mi abbandonarono nuovamente e mi distesi contro il cuscino posto alle mie spalle. Cercai di resistere ma le palpebre non volevano sentire ragioni. Sprofondai nuovamente in un sonno profondo e, almeno, senza sogni.

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