Capitolo 28

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Era giunto il momento di fare i conti con me stessa e non ero per niente pronta

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Era giunto il momento di fare i conti con me stessa e non ero per niente pronta. Lo studio della preside, ampio e luminoso, lo percepivo per la prima volta come una cella angusta, le cui pareti si stringevano su di me impedendomi di respirare normalmente.

Nulla di tutto questo stava accadendo davvero, ma ero costantemente sull'orlo di un attacco di panico che cercavo di mascherare a malapena, mantenendo lo sguardo basso.

Mi era stato consigliato di indossare gli abiti da allenamento, ovvero camicia e pantaloni, che potevano essere pratici nel caso di una fuga improvvisata. Stavamo andando in territorio nemico e non sapevamo con certezza che cosa avremmo trovato una volta arrivati lì.

Infilai una mano nella tasca del pantalone e carezzai con delicatezza la fibula a forma di orso che Brando mi aveva donato come portafortuna per essere certa che fosse ancora lì a proteggermi.

Oltre me, il gruppo sarebbe stato composto da tre janare e tre longobardi ma questi ultimi mancavano ancora all'appello, motivo per cui mi ero abbandonata in una delle pesanti e avvolgenti poltrone che occupavano l'angolo sinistro dello studio. Cercavo di dare meno nell'occhio possibile, ma sapevo che il mio pallore parlava per me.

Hermelinda, Aurona e Marianna parlavano a bassa voce nei pressi dell'ampia scrivania in legno. Avrei potuto tranquillamente origliare la loro conversazione, capire cosa temevano o quali fossero i piani, ma ero di nuovo rinchiusa in quella bolla di panico e paura che mi portava ad estraniarmi totalmente.

Aurona e Marianna indossavano abiti scuri, stretti in vita da una cintura adatta a trasportare piccole fiale per pozioni e un paio di coltelli da lancio. Hermelinda si distingueva perché preferiva un abbigliamento maschile, più pratico per la battaglia, composto da pantaloni in pelle, camicia e un corsetto che le evidenziava la vita stretta e dove aveva sistemato, anche lei, pozioni e armi. Quella visione mi fece rabbrividire e tornai a fissarmi le mani che stringevo nervosamente tra loro.

Per la prima volta stavo per uscire da quel mondo ovattato in cui ero stata protetta e curata e mi stavo per interfacciare con la realtà, con la vera vita che queste persone conducevano e di cui non conoscevo realmente nulla.

Le porte di legno dello studio iniziarono a schiudersi improvvisamente, rivelando sulla soglia i tre professori mancanti: Gisulf, Ulfari e Arduino. Quest'ultimo lo avevo conosciuto di sfuggita nei corridoi dell'Accademia e sapevo che si occupava di insegnare magia e incantesimi ai soli longobardi.

I tre uomini si erano preparati come se dovessero scendere in battaglia. Indossavano tutti il medesimo abbigliamento: pantaloni e camicia nera, stivali di pelle alti fino a metà polpaccio. L'elemento che più attirò la mia attenzione era la cintura larga che fasciava il loro busto. Era di pelle nera con preziose decorazioni in ottone che richiamavano motivi tipici della cultura longobarda, come le rappresentazioni stilizzate di animali in lotta tra loro. Tra le fibbie della cintura vi erano appositi scomparti con piccole boccette mentre sul lato destro pendeva un fodero adatto a riporre un coltello, a parte quello di Gisulf che custodiva una pistola.

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