Capitolo 15 - Le verità nascoste del buon uomo (R)

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Roma - 6 giugno 2026
Kephas.

"Venite fuori!" avevo urlato, balzando alle spalle del buon uomo, in ginocchio sul prato, madido di sudore e piagnucolante.

Il mio braccio sinistro stringeva il suo collo da un paio di minuti. La pistola premuta sulla tempia gocciolante. Il respiro affannoso. La ricetrasmittente schiacciata nella tasca dei miei jeans. Avvicinai le labbra al suo orecchio unto e arrossato.

"Dì ai tuoi amici di uscire allo scoperto."

Egli fece un cenno con la testa. Le mani racchiuse in preghiera. Lamenti sommessi.

"Non sparare, ti prego. Nessuno di loro vuole farti del male. Non spargere altro sangue dentro queste mura."

Aggrottai le sopracciglia. La fronte corrugata per la perplessità.

"Altro sangue?" domandai. "Ho smesso di uccidere tanto tempo fa. Non ho intenzione di ricominciare per uno come te."

"Ti racconterò tutto!" mugolò il buon uomo. "Ma devi mettere via l'arma, altrimenti non uscirà nessuno allo scoperto."

Mugugnai con gli occhi socchiusi, stringendo i denti.

"Perché mai dovrei fidarmi? So bene che i tuoi amichetti sono armati."

"Lo sono!" esclamò lui. "Ma non sprecheranno un solo colpo per te. Siamo rimasti a secco di proiettili, e siamo in guerra."

"In guerra?" sussultai. "Dovevo immaginarlo! Adesso alzati, e dì ai tuoi amici che non voglio farvi nulla... e metterò via l'arma. Poi mi racconterai tutto, forse posso aiutarvi. Dopotutto, mi avete salvato la vita."

"Davvero?" domandò il buon uomo, meravigliato.

Lo afferrai per la tunica e lo sollevai da terra. Poi lo strattonai con forza e lo spinsi in avanti; egli fece qualche passo, incespicando su una zolla di terra. Bloccò le gambe e volse lo sguardo intorno.

"Uscite allo scoperto!" urlò il buon uomo. "Kephas può aiutarci."

Feci volteggiare la pistola un paio di volte e la incastrai nella cinta dei jeans. Lo sguardo vigile alle mie spalle. Il buon uomo avanzò verso una panchina di legno e così procedetti insieme a lui, al suo fianco, mentre le sagome oscurate dall'ombra si mostravano alla luce del sole. Li osservai con la coda dell'occhio: sembravano dei cloni, tutti vestiti con la stessa tunica bianca e il turbante di ugual colore. Una donna sbucò da un corridoio con un neonato in grembo e strabuzzai gli occhi.

"Quanti siete qui dentro?" domandai lungo il cammino, su una distesa di ghiaia rastrellata.

"Cinquantasette persone" rispose il buon uomo, con lo sguardo dritto davanti a sé e le mani giunte in preghiera. "Tra cui tredici anziani, quarantadue giovani, una donna e la sua creatura."

Aggrottai la fronte.

"Un buon numero... per essere in guerra."

Volsi lo sguardo intorno e scrutai il cortile con più attenzione.

"Qual è il tuo nome, buon uomo?"

"Puoi chiamarmi Ismaele, Kephas."

Ci sedemmo sulla panchina. A fatica tirai fuori dai jeans la ricetrasmittente, poggiandola su un asse di legno al mio fianco, insieme alla pistola. Ismaele tamponò il viso con la manica della tunica, poi sospirò, battendo le mani sulle gambe. Le persone residenti in Vaticano si raccolsero in cerchio, attorno a noi, mostrando un sorriso enigmatico. Il loro silenzio era angosciante.

Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora