Capitolo 34 - Troppo tardi (R)

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Kephas.

"Diamine!" esclamò Simone, colpendo un ciottolo che rotolò dentro le acque. "Gli avevo detto di non andare!"

Federico, seduto sulla sponda del fiume, scrutò il militare.

"Ma che fastidio ti dà?" chiese con tono moderato e confidenziale. "Sono entrambi adulti e vaccinati, svegli e con la testa sulle spalle."

Simone, rassegnato, si gettò per terra e sospirò.

"È solo che... quei due non hanno mai avuto nessuna attrazione, e Andrea sta passando un brutto periodo, per di più lontano dalla sorella. E poi c'è quel sogno che ho fatto..."

Per la prima volta il cielo, senza stelle né luna, divenne nero. I colori radianti del tramonto, che dapprima avevano cosparso la terra di una luminosità scarlatta, adesso sembravano essersi ammalati. Mi trovavo in piedi, tra i fili d'erba e i ciottoli ammucchiati sulla riva del fiume, con lo sguardo rivolto sul sentiero che portava alla parete riflettente, in un certo senso ansioso per l'atteggiamento di Simone che, ormai, durava da ore.

"Alessio non farebbe mai nulla" dissi, senza troppa convinzione, "di cui potrebbe pentirsi."

Simone fece un piccolo sbuffo sarcastico.

"Sii serio, Kephas!" rispose lui. "Sappiamo entrambi quali erano le sue intenzioni."

"State ragionando da maschi!" proruppe Bartolomeo alle nostre spalle, con le mani sui fianchi. "Andrea voleva vedere la foresta incantata e nulla più. Lei è l'unica donna presente nel gruppo, al momento, e nessuno di voi dovrebbe pensare, o addirittura forzare, le sue necessità... che tra l'altro non sappiamo nemmeno quali siano."

Simone torse il collo per girarsi e osservare Bartolomeo con aria infastidita.

"E secondo te io la penso diversamente?" domandò, duro. "Ho solo una brutta sensazione... e non mi piace per niente!"

Bartolomeo decise di non controbattere e chinò il mento sul petto; allora Matteo lo prese per mano e lo portò con sé poco distante, e i due si sedettero per terra.

"Lo abbiamo capito!" cantilenò Giacomo, annoiato. "È da un'ora che lo ripeti. Hai sognato che Alessio veniva ucciso da un'ombra ed è per questo che non volevi si allontanasse da solo."

Sgranai gli occhi come per ammonire l'ingegnere meccanico, e gli feci segno di fare silenzio.

"Quello che voleva dire Giacomo" dissi con un po' di esitazione "è che non possiamo credere a tutto ciò che ci viene in sogno."

Federico esplose in una grassa risata.

"Da che pulpito viene la predica" proferì con tono di scherno. Poi si alzò in piedi con un balzo atletico e la sua espressione mutò del tutto, diventando severa e preoccupata. Gli occhi fissi sulla foresta. "In ogni caso c'era qualcosa di diverso in Andrea, al suo risveglio nella navicella..."

Seguì un silenzio meditabondo. Il resto dei presenti sembrava non voler partecipare alla discussione, e se ne stava sdraiato tra gli steli d'erba a fissare il cielo spento. Un fiume di nebbia vaporosa rotolava sul paesaggio, scorrendo in piccole cascatelle di fumo.

All'improvviso le urla strazianti della gemella si levarono al cielo, insieme allo sbattere d'ali di uno stormo di uccelli, e tra i rami scuri degli alberi apparve una sagoma, appannata dalla foschia, che prese forma solo quando giunse dall'altra parte del fiume.

"Mio Dio..." sospirai.

Andrea correva senza veli, piangendo e agitando le braccia, e il seno morbido sbatteva di qua e di là; le gote erano chiazzate di rosso, così come le gambe e il petto. Il cuore mi salì in gola quando la vidi attraversare il corso d'acqua, in un tratto in cui il livello era più basso, a piedi nudi sopra i ciottoli duri, e poi gettarsi tra le braccia di Federico che, imbarazzato, distanziò le mani dal corpo.

Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora