Capitolo 0.9 - Non sono pazzo (R)

2.7K 63 11
                                    


Palermo - 10 gennaio 2023

Kephas.


Abramo non si svegliò dal sonno profondo. Il militare dagli occhi neri, nonché collega di Simone, rimase inerte sul pavimento per tutta la notte. Quando il sole sorse all'alba, gli occhi dei presenti, stanchi e arrossati, fissavano ancora quel corpo, ciascuno per motivi diversi. Lux, per esempio, era convinta che se Abramo fosse tornato dal regno dei morti, al suo risveglio si sarebbe trasformato in un cannibale. Giovanni, invece, non credeva a niente di tutto ciò, continuando a esprimere il suo disgusto verso quel cadavere.

Per ansia, paura o ribrezzo, i nostri occhi erano rimasti spalancati per ore, senza ottenere nulla in cambio. Le mie supposizioni erano crollate come le mura dello stadio di Palermo, creando un tonfo rumoroso in fondo al cuore. Gli interrogativi su quel prete sarebbero rimasti vivi per molto tempo. Tuttavia non sembrava interessare a nessuno a parte me, come se, in confronto al caos che regnava per strada, un presumibile ritorno dall'aldilà non fosse poi così importante.

"È inutile continuare a pensarci, Kephas" aveva detto Lux. "Non è una questione di vita o di morte."

"E se invece fosse l'unica cosa da capire?" avevo domandato.

"Cosa c'è da capire? Quel prete è morto dentro la chiesa, poi è morto di nuovo davanti lo stadio."

"E ti sembra normale come cosa?"

"A te sembra normale che il governo abbia deciso di sterminare tutti con un virus?"

"Quale delle due cose reputi più importante, Lux?"

"La seconda, è ovvio!"

"Quindi, secondo te, quel prete è morto, risorto e poi morto nuovamente, e noi dovremmo pensare al virus?"

"Dovremmo pensare a sopravvivere, sì."

"Dovremmo pensare a tante cose, Lux, finché ne abbiamo la possibilità."

"Pensaci tu, Kephas. Sei l'unico a cui importa. Le persone sono terrorizzate, non sanno quello che devono fare, come muoversi, cosa decidere. Non sentiamo i nostri cari da giorni, lo capisci? Tu non hai nessuno da chiamare?"

"No. Non ho più nessuno."

"E allora pensa anche agli altri, Kephas. Loro hanno bisogno di sapere dove sono le loro mogli, i loro figli."

"Sì. Naturale. Ma ho bisogno di saperlo anch'io."

Qualche ora dopo che sorse il sole, io e Simone portammo il cadavere fuori dalla scuola, adagiandolo accanto al portone d'ingresso. Lui lo teneva per le gambe, mentre io per le braccia. Nel modo di trascinarlo e distenderlo a terra, mi accorsi di uno strano tatuaggio impresso sul polso sinistro, che ritraeva una croce nera rovesciata. Simone gli diede un rapido sguardo dopo di me, ma non se ne meravigliò più di tanto.

"Immagino che per te non sia importante" dissi.

Simone sbuffò e guardò da un'altra parte, senza darmi alcuna risposta.

Il cielo era celeste e senza nubi, limpido come il cuore di un bambino, e il sole spandeva il suo calore con una dolcezza angelica. La corona di monti, i cui picchi si striavano dei primi albori rosati, sembrava immune alla violenza. Era difficile comprendere che in una simile mattina serena, fresca e sorridente la città stesse boccheggiando, come un uomo stretto alla gola da un maniaco, nella scura morsa della pestilenza. Era incredibile pensare, per di più, che la natura fosse tanto indifferente mentre gli uomini si torcevano negli spasimi e andavano atterriti alla morte.

Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora