Capitolo 17 - Attimi di terrore (R)

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Roma – 6 giugno 2026
Kephas.

Ismaele mi presentò uno degli anziani del Vaticano.

"Piacere di averti tra noi, Kephas. Il mio nome è Isacco."

Egli mi strinse la mano con una presa ferrea e sorrise con gli occhi, poi, attraverso un lungo corridoio coperto da una volta a botte, mi condusse in una stanza dei piani superiori del Vaticano. L'ambiente somigliava a un laboratorio di ricerca: vi erano un paio di computer, macchinari elettronici, provette disposte su tavoli bianchi, utensili e attrezzature meccaniche. Ismaele, che ci aveva seguiti silenziosamente, si schiarì la voce.

"Vi porterò il pranzo alle 12."

Si voltò di spalle e abbandonò la stanza. Isacco si sedette su una sedia girevole imbottita e si mise all'opera.

"Dovrei riuscirci" disse l'uomo. "Incrementare il raggio d'azione di questa ricetrasmittente non è poi così difficile."

Tra i tredici anziani del Vaticano, egli era quello con i capelli più lunghi. Da vicino sembravano tanti serpentelli di due specie diverse, una grigia e una bianca, ed entrambe sbucavano da sotto il turbante e scendevano fino alla bassa schiena. La barba, dello stesso colore dei capelli, era un cespuglio fitto a forma di triangolo, la cui punta sbatteva sulla tunica all'altezza del petto. L'uomo prese un cacciavite e aprì a metà la ricetrasmittente.

"Se non ti dispiace" dissi "starò qui a guardare."

Isacco fece più cenni con la testa.

"Come vuoi."

L'aria della stanza odorava di terra, umidità e marciume. Non vi erano finestre, e il riciclo dell'aria avveniva per mezzo di un sistema di aerazione naturale, costituito da aperture ricavate nelle pareti. Isacco lavorava alla luce gialla dell'unica lampadina che pendeva dal soffitto. D'un tratto si alzò dalla sedia e tirò verso di sé il cassetto di un mobile di legno. Prese una pipa, la caricò con un'abbondante presa di tabacco scuro, la accese con studiata lentezza e ne aspirò alcune boccate. Fissò il soffitto e si sedette di nuovo.

Con la mano libera iniziò a digitare su una tastiera collegata a un computer fisso, regolando, di tanto in tanto, le manopole di un dispositivo elettronico, simile a una radio antica, dotato di un monitor che mostrava dei dati numerici. Dunque mi sedetti su una sedia girevole e rimasi in silenzio a guardare, estraendo la pistola dalla cinta dei jeans. Ismaele tornò a farci visita a mezzogiorno in punto. Seguito da altri sei giovani uomini, fece sistemare su un tavolo libero una serie di portate colorate e due calici di vetro. Stappò una bottiglia di vino rosso e riempì i calici.

"Nel menù di oggi," proferì con tono sofisticato, "abbiamo optato per un primo di spaghetti all'amatriciana, con guanciale, pecorino e salsa di pomodoro, un secondo di saltimbocca alla romana contornato da verdure fritte, e infine dei frutti di stagione. Al tramonto ci sarà un incontro in cortile; pregheremo e mangeremo gelato."

Ismaele fece un inchino e lasciò la stanza, seguito dal resto degli uomini che, con uno sguardo alto e severo, non avevano proferito alcuna parola. Un odore delizioso sottomise all'istante quello di marciume, inebriando l'olfatto. Pertanto avvicinai la mia sedia al tavolo prima che il cibo si freddasse, e lo stesso fece Isacco, poggiando la pipa accanto alla tastiera. Estrassi il caricatore dalla pistola e posai entrambe le cose accanto alle posate.

"Non fare caso a loro" disse lui, arrotolando gli spaghetti con la forchetta. "Sono strani, ma hanno un cuore d'oro." Con mano tremante portò alla bocca l'oleoso groviglio, ed esternò un prolungato verso di piacere. Prese un tovagliolo e tamponò le labbra. "A volte credo che la gentilezza proceda di pari passo con l'ingenuità."

Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora