Milano – 17 febbraio 2027
Kephas.Era come precipitare in uno spazio nero e profondo, un vortice temporale senza fine, in picchiata in una dimensione senza tempo. Non sapevo dove mi trovavo, perché ero nudo, forse alla fine di tutto. Da quanto non aveva più importanza, inizio e fine erano ormai dei concetti da dimenticare.
Mi chiedevo se avessi mai rivisto la mia famiglia, se dopo il nero fosse mai esistito un altro colore, e se gli incubi fossero sbucati dal nulla, chissà come immagini proiettate da una cinepresa. Al sol pensiero mi vennero i brividi; adesso avevo freddo, la pelle era ruvida e dura. Avevo paura. Non volevo assistere a un film dell'orrore girato sulla mia vita, ma amavo questo posto: così silenzioso, vuoto e pacifico.
E non riuscivo a pensare a nient'altro che a questo, al nulla eterno e al terrore di rivivere i miei incubi. Ora alla mia famiglia: a Marie, Ettore e a quel pargoletto che sarebbe dovuto nascere. Adesso ero un viaggiatore dell'universo, un pilota ammarato nel mare del cosmo, leggero, vuoto e immensamente piccolo intorno alla struttura nella quale mi ero perso. Mi sentivo libero come un uccello, assolto dai miei peccati, sciolto da ogni dovere.
Dal nulla sbucò una matita grande quanto il mio braccio, dalla mina bianca appuntita e una gommina nera all'estremità opposta. Mi fissò per un po', poi disegnò un cerchio perfetto, e al suo interno tracciò una linea orizzontale, una verticale e tante altre oblique. Sopra ogni linea furono riportati dei numeri, da uno a ventiquattro.
Ora il disegno somigliava a un orologio, ma la matita sembrava non aver finito il suo lavoro, e infatti agitava la gommina come impazzita. Allora tracciò una lancetta al centro e la azionò, ma ancora non era soddisfatta e si dimenava. Dunque ripeté lo stesso procedimento dall'inizio, realizzando altri due orologi, ma questa volta le linee furono numerate da uno a trentuno nel primo, e da uno a dodici nel secondo.
Ben presto, si fa per dire, compresi che il primo orologio raffigurava le ore, il secondo i giorni e il terzo i mesi. E quando le lancette segnarono otto mesi, dieci giorni e tre ore, la matita, che era rimasta immobile per tutto quel tempo, schizzò all'orizzonte... e al suo posto apparve una stella. Questa sembrava un occhio senza pupilla dai riflessi oro verdastro, simile a un antico gioiello ossidato. Allargai le braccia per rallentare la caduta e osservare quei colori meravigliosi, poi le strinsi ai fianchi e mi ci tuffai dentro.
All'improvviso spalancai le palpebre e inspirai tutta l'aria che potevo. Il suono di un ecocardiografo ticchettava nelle orecchie. Il nero era sparito. Mi guardai intorno: ero disteso su un letto con un lenzuolo addosso; avevo una flebo attaccata al braccio sinistro e un camice bianco a coprire il corpo.
"Sono tornati!" pensai. "Gli incubi sono tornati."
Sbattei le palpebre più volte, tormentato da quel pensiero, stropicciando gli occhi per quella luce fioca che giungeva, attraverso delle vetrate, dal cielo nuvoloso. Mi trovavo in una stanza ovale; una telecamera era montata su un treppiede davanti al letto, sottili travi nere si intrecciavano in anelli sopra il soffitto e giravano attorno a delle pareti di vetro.
"Non è reale!" pensai ancora. "Tutto questo non è reale."
Intimorito, sollevai il busto sedendomi sul letto, sporgendo la testa avanti lentamente. Il pavimento a specchio azzurro-grigiastro sembrava contenere l'atmosfera del cielo poggiata sopra le nuvole. Non vi erano dubbi: mi trovavo nel grattacielo di Goethe, e d'un tratto i ricordi precipitarono sulla testa come sassi.
"Mi deludi!" dissi ad alta voce. "Chiunque tu sia. Adesso ricordo tutto: mi sono addormentato a Palazzo Montecitorio, dunque questa non può essere la realtà. Pensavi che ci sarei cascato, vero?"

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Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)
FantasiaIl romanzo è stato pubblicato da Lettere Animate in formato digitale e cartaceo. La versione su wattpad è completa e gratuita. Limitarsi a credere a ciò che i nostri occhi vedono, non è come sostenere che l'acqua esiste solo per dissetarci? Sin...