Capitolo 0.4 - Identità da occultare (R)

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Palermo - 7 gennaio 2023

Kephas.


Tutto sfumava nell'oscurità; la cenere si sollevava in lenti mulinelli sopra l'asfalto. La città si dilatava in ogni direzione: lingue di cemento, vetro e acciaio si allungavano come tentacoli nel tenebroso e perverso orizzonte. Fumo cinereo aleggiava sui marciapiedi, e grappoli di cavi ciechi penzolavano dai pali della luce, scintillando come fari scossi dal vento. Il tutto contornato da una leggera pioggia mista a ghiaccio; triste, malinconica, slavata.

Mi sentivo stordito, come se una campana di vetro mi separasse dal mondo. Camminavo barcollando, con le lacrime incollate agli occhi, strisciando i piedi sull'asfalto bagnato, i capelli infradiciati sulla fronte. L'eco delle urla dei passanti, i colpi d'arma da fuoco dei militari e i gelidi bisbigli del vento mi parevano ovattati. Infermieri, poliziotti, barboni e anziani moribondi sfilavano davanti ai miei occhi con passo veloce, privi di un volto.

Dove mi trovavo? Cosa ci facevo qui? Cosa continuava a spingermi oltre?

In quel momento tutto mi urlava che fossi dove non dovevo essere. Più camminavo, più mi accorgevo che il tempo fosse ormai agli sgoccioli, ma non ricordavo il perché. Le strade erano tappezzate di automobili accese e vuote; alcune capovolte e incendiate, altre con gli sportelli aperti e le valige chiuse nei sedili posteriori. Il rombo dei motori riempieva l'aria con un fisso ronzio, la luce dei fari anteriori illuminava le tenebre, ma non riusciva ad annientare la loro supremazia; anzi, dava loro il modo di mettersi in mostra, di giocare con tutti noi, di prendersi beffa delle nostre paure e ingigantirle fino allo sfinimento.

"Marie? Ettore? Dove siete?" ripetevo a ogni passo, senza ricevere nessuna risposta.

Le bestie lanciavano grida acute e stridule prima di scagliarsi contro la loro preda e mangiarla viva. Questa cadeva a terra morta, poi diventava anch'essa una bestia e si rialzava senza un braccio, senza una gamba, con un buco all'addome. Dopodiché entrambe si battevano, e una delle due cessava definitivamente di esistere, perché la più forte era riuscita a trafiggere il cranio o il cuore dell'altra. Prima o poi nessuna bestia o uomo sarebbero più esistiti.

Ma che importanza aveva? Desideravo la morte, desideravo che una di loro mi avesse strappato di netto il cuore, ma non ricordavo più il perché. Nulla aveva un senso, ma forse tutto aveva una ragione; come pezzi di un puzzle spezzati a metà e poi mischiati con un altro modello. L'ordinaria follia dei giorni nostri fusa a una piaga angosciante. Ogni cosa sganciata dal proprio ancoraggio, sospesa nell'aria cinerea, sostenuta da un respiro tremante. Se solo il mio cuore fosse stato di pietra... forse avrei potuto farli smettere. Ma che importanza aveva, non ricordavo più il perché.

Alcune immagini apparvero sbiadite nella mia mente. Erano sempre state lì, ma qualcosa le aveva offuscate, come foto sommerse dalla sabbia in attesa di essere riesumate. Un leggero venticello sospirò dentro la testa e andò spolverando la sabbia depositata su quelle immagini. E adesso che le avevo davanti agli occhi, mi era di nuovo tutto dannatamente chiaro.

D'istinto il mio pugno destro tagliò l'aria e, con enorme potenza, colpì la mascella di una di quelle aberrazioni. Probabilmente mi sarebbe saltata addosso se non l'avessi fatto, forse no, ma finalmente tutto riacquistava importanza. Ero tornato nel delirio della città per farmi giustizia, per vendicare la morte della mia famiglia; di mia moglie Marie e di mio figlio Ettore. Loro me li avevano strappati dalle mani e dal cuore, e adesso dovevano pagare la morte con la morte, ma dovevano prima soffrire... e non mi sarei fermato finché non fossi morto anch'io.

Ricordi di un mondo passato (Cartaceo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora