Il Natale era sempre stata una delle feste più amate da tutti, fuorché da Alessandro. Quando era piccolo, sua madre invitava a casa tantissimi amici e parenti e imbandiva feste bellissime, con un albero gigantesco, che emanava nella casa sempre un calore immenso, ma mai paragonabile alla sua presenza e al suo sorriso. Da quando sua madre non c' era, era andata perduta anche quella atmosfera magica.
<<Ale cucciolotto, non mangi nulla?>> gli chiese Daniela, vedendo Alessandro che guardava solamente il cibo nel piatto.
<<Non ho fame>> rispose freddo Alessandro, allontanando da sé il piatto.
<<Sei un po' strano, Ale. Sai che ho finito di sistemare i tavoli per la festa del nostro matrimonio..>>. Alessandro la guardò solo per un attimo, poi si alzò e si diresse verso la finestra. Pioveva tantissimo quel giorno, i vetri erano zuppi di acqua e la pioggia scrosciava abbondante. Daniela si era alzata e si strinse al busto di Alessandro, appoggiando il suo mento su una sua spalla.
<<Perché sei triste oggi? È Natale>> gli domandò Daniela con una voce volutamente infantile e imbronciata. Alessandro si scostò, si voltò verso di lei e iniziò a guardarla con distacco. <<Subito dopo il matrimonio ci trasferiamo, Daniela. Andiamo a Milano>> le comunicò Alessandro.
Lei lo guardò perplessa e poi gli chiese <<E l' azienda? Come farai poi a gestirla stando a Milano?>>.
Alessandro prima di rispondere, si versò in bicchiere del vino, poi dopo aver trovato del coraggio in fondo quel bicchiere, le spiegò <<Ho firmato dei documenti, ora l' azienda sarà diretta da un' altra persona al mio posto. Siamo liberi di andare dove vogliamo>>. Daniela lo guardò con sdegno, si riempì anche lei un bicchiere di vino e se lo scolò in un secondo, ne riempì un altro e lo bevve ancora. <<Sei impazzito!>> inveì contro di lui. <<Non sono cazzi tuoi!>> le urlò contro Alessandro, girandosi verso di lei con uno scatto e fulminandola con gli occhi.
Lei lo guardava furibonda e ripeteva strillando <<Sei un bamboccio, Alessandro Virigni! Sei un fottuto idiota! Non vali a niente.. A niente!>>.
<<E tu? Tu che ti sei fatta trombare da cani e porci... Cosa sei una Contessa o una Duchessa? Non ricordo, perché sono troppo occupato a reputarti come una puttana!>> la attaccò lui, lei gli si gettò addosso e cercò di schiaffeggiarlo, ma Alessandro schivò i primi colpi e poi le afferrò i polsi per non farsi picchiare, lei gli sputò in faccia, così Alessandro la spinse all' indietro. Daniela barcollò, ma non cadde. <<VATTENE!>> le gridò contro lui. <<Non voglio più vederti, sparisci! Troia di merda, tornatene da dove sei venuta..>> proseguì Alessandro. Daniela rimase a guardarlo per un attimo, poi scattò via lasciandolo solo. Alessandro cadde sulla sua sedia e iniziò a tracannare vino, sentì la porta sbattere e perciò Daniela andare via. Si alzò in piedi barcollando, la bottiglia era finita, perciò cercò di ricordare dove fosse la cantina: era al piano di sotto, a quello che si trovava sotto terra e che lo faceva sempre tremare di paura , quando era piccolo. <<SUSANNA!>> gridò a gran voce cin tutte le sue forze, lo ripeté ancora e ancora e solo dopo si ricordò che Susanna non era in casa, perché lui le aveva permesso di tornare a casa sua per Natale. Doveva andare da solo, doveva affrontare la paura più grande di quando era piccolo. Ma ora era grande e doveva essere sicuro di sé, lui non poteva affatto permettersi di avere paura, perché era un Virigni. Quel vino era pesante, gli gira già la testa, si appoggia alla parete e cammina spingendosi in avanti e sforzandosi di ricordare dove fosse la porta della cantina. Fece cadere a terra alcuni quadri e certo soprammobili di valore, ma aveva solo il vino in mente. Trovata la porta a soffietto, l' aprì con una forza tale che per poco non la scardinò dai cardini. Cercando a tastoni l' interruttore della luce, riuscì ad illuminare fiocamente i ripidi scalini di legno, che erano mangiuccati dalle tarme e scivolosi per la muffa. Alessandro scese tenendosi forte alla ringhiera di ferro, cercando di non correre per non cadere. Sembravano brillare di luce propria le bottiglie allineate sugli scaffali, erano ordinate e invitanti. Alessandro non scelse la sua prima bottiglia, la prese a caso, la stappò e iniziò a bere sdraiandosi sul pavimento impolverato e iniziando a bere. Finì di scolare quella bottiglia in pochi minuti, poi la scagliò contro la parete e gli venne come un matto, quando vide il vetro diventare mille frantumi. Immaginò quanto sarebbe stato bello, se anche la sua vita finisse così. Si sentiva una bottiglia vuota e il meglio per una bottiglia vuota è andare in mille pezzi. Afferrò un' altra bottiglia, iniziò a scolarla, ma poi l' occhio gli cadde su un tappetto, che copriva un baule di metallo. Si strascinò fino al baule, tirò il tappeto facendolo cadere a terra, ma sollevando una grandissima nuvola di polvere, che lo fece assalire da un attacco di tosse. Alessandro fece scattare i chiavistelli, che chiudevano il baule e guardò cosa ci fosse dentro. Era pieno zeppo di oggetti, di qualsiasi forma e genere, foto a colori, foto in bianco e nero, documenti vecchissimi. Alessandro iniziò a rovistare, gettando a terra le vecchie foto scolorite dei suoi avi, vecchi documenti vergati, vi erano addirittura dei gioielli, che non dovevano essere però molto preziosi, ma poi trovò lì un oggetto, che non aveva dimenticato mai. Era una sciarpa azzurra di lana, quando Alessandro avvicinò il suo naso a quella sciarpa, sentì il profumo di sua madre. Sembrava che tutte le leggi della chimica e della fisica si fossero annullate e quel profumo fosse riuscito a sopravvivere lì. Sua madre indossava sempre quella sciarpa, la amava, era un regalo che Alessandro le aveva fatto quando era piccolo, la aveva comprata in un negozio del centro, in cui lo aveva accompagnato Susanna. Indossava quella sciarpa anche il giorno dell' incidente. Come era finita quella sciarla lì? Perché non gli aveva mai detto nulla nessuno? Continuò a rovistare scartando altri oggetti del tutto inutili: un carillion, un lungo pugnale che sembrava d' epoca, un diadema scheggiato, un orologio da polso fermo alle 21:47 di chissà quale giorno di chissà quale anno, una foto ritraente suo nonno da piccolo in braccio a quello che doveva essere suo padre. Poi nel fondo vi era una borsa di pelle, Alessandro la prese. Doveva essere una borsa di pelle a tracolla, un modello femminile, che ricordava moltissimo gli anni '90. Alessandro la aprì, c' era un piccolo diario dentro, con la copertina decorata con margherite candide su sfondo rosa. Alessandro aprì la prima pagina e lesse il nome di sua madre. Era scritto con una calligrafia elegante e sinuosa, lui la ricordava bene e perciò la riconobbe immediatamente. Iniziò a leggere le prime pagine, alcune erano strappate, su altre vi erano dei disegnino, ma furono le ultime ad attrarre l' attenzione di Alessandro. Lesse tutto e più leggeva e più si sentiva spaventato, la verità che non avrebbe mai voluto leggere, gli si stava delineando chiara e palese davanti ai suoi occhi. Ora si sentiva davvero in mille pezzi, esattamente come quella bottiglia. Alessandro vedeva le proprie certezze svanire, inghiottite da quei mostri, che quelle pagine gli stavano facendo scoprire. Alessandro si alzò di scatto, tenendo il diario con sé, sentiva il freddo invadergli tutto il corpo. Prese dagli scaffali un' altra bottiglia, la aprì e iniziò a bere, stringendo bene il diario nella mano. In quelle pagine qualcosa gli aveva fatto venire in mente un qualcosa, che lui conosceva bene, che aveva visto una miriade di volte nel suo studio. Attaccato alla bottiglia, iniziò a salire le scale, si stava finalmente avvicinando alla verità, quella che aveva sempre ignorato. Sulla morte di sua madre era aleggiata solo una domanda: come mai io non mi sono fatto niente? Ma ora quella domanda che aveva sempre avuto, ma sempre data per scontato, gli sembrava un qualcosa di immenso e un qualcosa che aveva una risposta. Sua madre era stata uccisa e ora sapeva anche da chi e perché. Salì le scale, scolò la bottiglia di vino e la gettò per terra. Andò verso la scalinata, che portava verso il suo studio. La testa gli girava terribilmente e gli scalini gli sembravano sempre più ripidi. Il diario gli scivolò dalle mani, lo guardò a terra, mentre rotolava suo gradini. Lo guardò cadere, non aveva la forza per recuperarlo. Pensava solo a quell' oggetto nel suo studio, continuò a salire, ma poi si fermò di colpo. La testa gli girava troppo vorticosamente, chiuse gli occhi, stava perdendo l' equilibrio. Si aggrappò al corrimano, mancavano solo due gradini e poi avrebbe potuto correre fino al suo studio e lì avrebbe avuto tutti i tasselli. Salì il penultimo grandino, riaprì gli occhi e fissò l' ultimo, come se fosse un ostacolo insormontabile. L' alcool lo aveva abbattuto, lo aveva privato delle sue forze. Sollevò la gamba per superare l' ultimo gradino, ma le sue mano scivolarono sul corrimano, perse l' equilibrio e cadde. La sua testa colpì di taglio un gradino, gli sembrò di fare delle piroette, mentre il sangue gli riempiva la testa. I sensi diventavano sempre più annebbiati, i suoi arti colpivano gli scalini, i dolori riempirono tutto il suo corpo. Quando si fermò a pancia in su, rimase a fissare il lampadario di vetro sopra di lui. Chiuse gli occhi e sperò di non morire, non per se stesso, ma per quella che fu il suo ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi: Arianna.SE LA STORIA TI È PIACIUTA, METTI 'LIKE', COMMENTA E SEGUIMI!
STAI LEGGENDO
I Gemiti del Principe
ChickLitAlessandro Virigni è un Principe: bellissimo e ricchissimo. È un gran seduttore, ama il sesso, ma ama un sesso totalmente senza prove. Quando incontrerà la bellissima, ma triste Arianna Bellanima, le loro storie si intrecceranno e nel gioco perverso...