I Ricordi brutti e i Ricordi belli

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Fiamma avrebbe pagato qualsiasi somma, anzi avrebbe rinunciato a tutta la sua vita, per non lasciare quel letto. Erano sul letto lei e Christian, eppure era lui il suo materasso. Christian le accarezzava i capelli, erano silenziosi, eppure in quel momento si stavano dicendo tutto. Fiamma chiuse gli occhi e i capitoli più intensi della sua vita le affiorarono nella maniera più naturale. Aveva appena sei anni, era ancora all' orfanotrofio. Quella mattina la maestra Giovanna stava spiegando le addizioni. Era la maestra preferita di Fiamma: i suoi capelli scuri e scompigliati, le sue guance paffute e i suoi occhiali, che le facevano sembrare gli occhi grandi grandi, la rendevano così dolce. La maestra Giovanna era la presenza più dolce e forse l' unica presenza dolce in quell' orfanotrofio, perché sorrideva sempre, non urlava mai contro i bambini, ma se li doveva rimproverare, sorrideva e diceva semplicemente "Questo non si fa, non è bello". Aveva un cane la maestra Giovanna, era un barboncino molto vecchietto e lento, si chiamava Pierre e spesso a ricreazione la maestra Giovanna faceva giocare tutti i bambini con Pierre. Sospirava e toccandosi la medaglietta d' oro che portava al collo diceva a se stessa "A Pierre mancano così tanto i bambini". Aveva avuto un figlio la maestra Giovanna: Antonio, si chiamava. Era un ragazzo dalle gambe arcuate, smilzo e con i capelli talmente folti, che gli ricadevano sugli occhiali. Era morto in un incidente stradale Antonio, quando aveva solo 12 anni. Fiamma aveva sempre sognato che la maestra Giovanna la adottasse. Quando aveva saputo della morte di Antonio, Fiamma si era sentita addirittura felice: la maestra Giovanna magari avrebbe potuto adottarla. Il giorno, in cui era tornata a scuola la maestra Giovanna, aveva preso coraggio, c' era anche un' altra maestra in classe, la maestra Rita. Si era alzata in piedi Fiamma, aveva preso un bel respiro, assimilato tutto il coraggio possibile e alzato la sua manina. <<Dì pure, Fiamma>> le aveva detto molto gentilmente la maestra Giovanna. Fiamma la aveva guardata, trepidava per la gioia e l' eccitazione di quella speranza, che aveva covato per tutta la notte. <<Maestra Giovanna, devo chiederle una cosa molto importante>> disse tutta concitata con un tono elettrizzato. La maestra Giovanna la incoraggiò con un sorriso molto dolce e dicendole <<Dimmi, Fiamma. Ti sto ascoltando>>. Tutti i suoi compagni di classe avevano lo sguardo fisso su Fiamma, persino la maestra Rita antipatica e cattiva. Per questa ragione Fiamma fece ancora molta più fatica per poter tirare fuori dalle sue speranze quel sogno, ma ci riuscì <<Maestra Giovanna, sono molto felice per la morte di suo figlio, così ora lei e suo marito potrete adottarmi e io potrò lasciare questo posto così triste!>>. Tutti i suoi compagni di classe ora la fissavano con sdegno, la maestra Giovanna era rimasta seduta, guardava Fiamma con risentimento, ma non era arrabbiata. La maestra Rita invece sembrava indiavolata, corse fino alla piccola Fiamma, la strattonò tirandola dal grembiule e la schiaffeggiò di santa ragione, mentre tutti i compagni di classe annuivano approvando la giustizia impartita dalla maestra Rita. <<Rita, ti prego lasciala stare>> aveva sussurrato la maestra Giovanna, Fiamma aveva fissato spaventata la mano della maestra Rita che era rimasta sospesa a mezz' aria. <<Mi dispiace, Fiamma. Però per ora io e mio marito non abbiamo intenzione di adottare un altro figlio, scusaci>> aveva concluso la maestra Giovanna.
Fiamma aveva trascorso gli altri mesi vivendo in quella speranza, che diventava sempre di più una deludente e amarissima illusione. Due anni dopo si presentarono all' orfanotrofio due bei signori distinti, che erano intenzionati ad adottare una bambina. La maestra Rita aveva fatto allineare tutte le bambine nella sala mensa, prima le aveva fatte lavare, pettinate con cura e le aveva fatto indossare l' abitino elegante con pizzi e merletti rosa confetto, che le bambine indossavano per cantare la domenica nel coro della chiesa. Il signore sembrava un tipo burbero, che non badava granché alle bambine esposte, la signora invece esibiva una vocetta stridula e snervante davanti alle bambine, come se parlasse con dei cuccioli. Avevano deciso di portare a casa Fiamma, che era così diventata la figlia dell' avvocato più ricco e importante della città. A Fiamma invece importava solamente essere diventata figlia. Aveva otto anni e aveva sempre provato il desiderio di avere una famiglia e non aveva ancora perso totalmente la fiducia negli adulti, nonostante i suoi genitori che la avevano abbandonata, nonostante le signore acide come la maestra Rota che avevano lavorato nell' orfanotrofio, nonostante la maestra Giovanna che non la aveva adottata. Nella sua prima e nuova famiglia Fiamma aveva trovato un' altra delusione: formalità, essere quel che non si era, comportarsi seguendo sempre e solo le etichette, recitare le emozioni, fare sempre e solo quello che non si voleva, curare le apparenze e far seccare invece ciò che si aveva dentro. Poi era arrivata quella festa, una festa in maschera tra ricchi e gran signoroni. Era una festa in maschera, lei aveva indossato un vestito da principessa, ma più che una principessa, sembrava Jessica Rubbit. Era incredibilmente sexy, infatti la notavano tutti e non c' era uomo in quella sala affollata di uomini per bene, che non le tenesse puntato gli occhi addosso. A un certo punto tra tutti quelle persone, lei aveva scorto Christian. In quell' universo le sembrava l' unico che assomigliasse a lei, l' unico che lei avrebbe voluto prendere per mano per salvarlo e per farsi salvare. Si era ricordata di lui all' istante, forse avevano al massimo cinque anni, aveva cancellato gran parte di quei ricordi, ma le tornò in mente solo quello: erano a una festa organizzata dalle suore, lei lo aveva baciato davanti a tutti. Gli sorrise e gli andò in contro, lui era vestito da supereroe, forse era un caso o forse no: lui era lì per salvarla, ecco perché era vestito così. <<Io e te ci siamo baciati a una festa all' orfanotrofio>> gli aveva detto con noncuranza e rapendolo del tutto con la sua bellezza. Avevano fatto sesso solo una volta, poi avevano iniziato a fare solo l' amore.
<<Ora devo andare a lavorare>> le disse Christian con un tono quasi triste, Fiamma si sollevò dal suo corpo, lo guardò con un velo di tristezza negli occhi. Christian la baciò e si tese così tanto verso di lei, che la fece sdraiare sul letto di nuovo e continuò a saggiarla baciandole le labbra, il collo e il seno. Fiamma restava ferma, sentendo Christian riaccendere il desiderio sul suo corpo, accarezzò le sue spalle muscolose. Fiamma sentì il bisogno di rivelare quel suo nuovo piccolo segreto, quel momento su quel letto sarebbe stato aggiunto a quel cofanetto, che custodiva i momenti più belli e preziosi, che erano pochissimi. Non c' era in quel cofanetto il ricordo della maestra Giovanna e di quella sua sciocca proposta da orfanella, non c' era il ricordo della sua adozione e neppure uno di tutti quei viaggi, ma c' era il ricordo della festa e dell' incontro con Christian, del loro bacio da bambini, della loro prima volta e di ogni momento in cui erano stato insieme, ora ci sarebbe stato anche quello. Christian le stava baciando il ventre, Fiamma glielo disse subito tutto d' un fiato <<Chris, io sono incinta>>.
Christian si fermò, sollevò lo sguardo su di lei. Fiamma lo guardò a lungo sorridendogli. <<È tuo. Non può affatto essere di Tancredi, ho fatto i giusti calcoli. Li ho fatti e li ho rifatti, li ho controllati e li ho ricontrollati e perciò ne sono più che sicura: aspetto un figlio da te>> gli spiegò con un sorriso sereno. Christian aveva uno sguardo spaesato e confuso, ma non poteva affatto sembrare triste. <<È un miracolo, perché da mia madre ho ereditato pochissime cose: come questo diavolo di problema, che mi rende davvero quasi sterile. Ho ereditato da lei anche questo: concepire un figlio come se fosse un miracolo dall' uomo, che amo tantissimo e poi...>> Christian la interruppe baciandola, stringendola al proprio corpo e poi le disse felicissimo <<Sposiamoci. Lascio Livia e ti sposo subito, ok?>>. Fiamma scoppiò a ridere, lo abbracciò e lo guardò negli occhi. Erano perfetti quegli occhi, era lei a sentirsi così imperfetta, tanto che quegli occhi la indussero quasi ad abbassare lo sguardo e lì nel basso ricordò la missione, che lei stessa si era imposta per ripagare i troppi e tantissimi ricordi, che non custodiva in un piccolo cofanetto, ma che purtroppo custodiva in tutta se stessa. <<Chris, dobbiamo aspettare. Prima devo fare una cosa>> gli disse lei. Christian la guardò interrogativa <<Cosa?>>.
<<Devo portare il conto a chi deve ancora pagare i momenti brutti della mia vita>> rispose lei con semplicità, lui sicuramente aveva intenzione di chiederle altre spiegazioni, ma lei lo baciò per zittirlo.

Appena Christian fu andato via, Fiamma si rivestì in fretta e partì alla volta dello studio di Tancredi. C' erano numerose persone nella saletta d' attesa, ma quando la segretaria comunicò a Tancredi l' arrivo di Fiamma, la fece subito entrare. <<Ciao amore mio>> le disse lui, alzandosi e baciandola. La strinse forte e aveva intenzione di farlo, ma a lei non andava ancora, si limitò a ricambiare i baci. <<Ascolta, dobbiamo parlare>> gli disse lei, mentre Tancredi cercava di spogliarla strusciando tra le sue gambe.
<<Ci ha creduto quell' ebete?>> le chiese lui ridacchiandole nell' orecchio, che era impegnato a leccare. <<Si..>> rispose lei distrattamente <<Non è di Christian e della mia gravidanza, che voglio parlarti però. Sai di cosa voglio parlarti, te ne ho accennato stammatina>>.
<<Ero troppo impegnato a scoparti stammatina>> rise Tancredi. <<Devi far assolvere Alessandro Virigni>> gli disse lei.
<<Cazzo te ne frega di quello? È indifensibile. Pensa a noi, quando ci sposiamo?>> le disse Tancredi, premendo la sua mano sulla vulva di Fiamma. <<Alessandro Virigni è mio fratello, è l' unico che può riconoscere la mia vera identità. Non mi ripetere che basta il test di DNA, perché mi serve Alessandro Virigni e non mi serve in una cella, d' accordo?>> gli ripeté lei per l' ennesima volta. Lui le sorrise maliziosamente, così lei capì quel che voleva Tancredi: lo spogliò e lo fecero su quel divanetto, da cui Fiamma voleva andare via subito.

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