Prologo

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Tutti mi conoscevano come Caroline: la ragazza che andava bene a scuola, che era gentile con tutti e che non avrebbe mai fatto nulla che avrebbe potuto rovinare la propria reputazione con cattive azioni.
Ero la figlia che tutti dicevano di invidiare e i miei genitori si dicevano grati di avere una figlia come me.
Ma non è del tutto così, non mi conoscono veramente.
Non sanno che, quella che credevano fosse la figlia perfetta, fa di tutto tranne che esserlo.
Fino all'età di tredici anni mi sono fatta comandare a bacchetta dai miei genitori: studia, non parlare con gli sconosciuti, a casa entro le otto e mezzo di sera, non stare in piedi fino a tardi, quel vestito ti scopre le gambe quindi non va bene, e tante altre merdate varie che non sto qua a dirvi.
Erano iperprotettivi nei miei confronti e, anche se un po' mi dava fastidio, io li ascoltavo.
Solo all'età di quattordici anni iniziai a sbattermene di tutto e di tutti, non mi importavano i loro giudizi e facevo ciò che più mi rendeva felice.
Tutto, però, all'insaputa dei miei genitori.
Sembra da codardi, lo so, ma non volevo che sapessero che andavo alle feste, che mi ubriacavo, che uscivo di casa di nascosto e che facevo tutto ciò che non avrebbero voluto che facessi.
Quest'estate i miei genitori mi iscrissero alla Worcester High School, è un campus e mi dissero che sicuramente avrei preso ottimi voti perché, come ho già detto, io sono la figlia perfetta e bla bla bla.
In realtà non mi è mai importato così tanto di andare al campus, potevo tranquillamente trovarmi un lavoro e guadagnarmi qualcosina per poter convivere in un mio appartamento ed essere indipendente, ma mia madre volle iscrivermi al campus perché, come mi dice sempre: «ci vuole un' adeguata istruzione per poter entrare nel mondo del lavoro».
Lei e mio padre ritenevano che il campus fosse fondamentale per poter crescere con le adeguate basi e merdate varie che nemmeno ricordo, anche se me le avranno ripetute come minimo un centinaio di volte.
Mia madre vorrebbe che io riesca a prendermi la laura e a trovarmi un lavoro dignitoso come il suo: vuole che segua le sue orme, ma io non voglio diventare la persona arrogante e iperprotettiva che cerca di avere una figlia modello senza importarsene altamente di quali siano i suoi veri scopi e desideri nella vita.
Ha sempre pensato che mi sarebbe servito, che uscita da lì sarei stata una donna con un lavoro a portata di mano, ma non capiva che non mi importava lavorare in prestigiose aziende come lei, a me bastava un lavoro che mi desse un minimo di soldi per pagarmi un futuro appartamento e le varie spese.
All' inizio ero contraria per molti motivi tra cui il fatto che, essendo lontano da casa, non avrei potuto passare del tempo con i mie amici, con la mia famiglia e non potrei rivedere la città in cui ero cresciuta e avevo condiviso momenti indimenticabili della mia infanzia.
Con il passare del tempo ho iniziato ad apprezzare il campus, a conoscere qualche ragazza e anche qualche ragazzo.
Tutto andava bene, mi divertivo, passavo del tempo con i miei amici e andavo anche bene a scuola, finchè non arrivò lui: Harry Styles, che mi travolse la vita; in entrambi i sensi.
Arrogante e con sempre quel pizzico di voglia di insultarti e prenderti in giro.
Lo detestavo, sbuffavo ogni volta che lo vedevo, era una vera rottura di palle avercelo vicino.
Aveva sempre l'occasione per dire qualcosa di brutto ed io ribattevo come sempre, data la mia testardaggine.
Il tempo passava e dopo tutti gli insulti, le litigate, io incominciavo a pensarlo.
Non riuscivo nemmeno a capire quale fosse il motivo per cui io lo pensassi, forse non l'avevo mai capito, non lo capisco tutt'ora.
Pensavo al suo sorriso, che si accentuava accanto a due tenere fossette.
Pensavo ai suoi ricci, mori e sempre un pò sbarazzini, ma che a me piacevano ugualmente.
Pensavo alla sua risata che, assieme alla mia, era qualcosa di assolutamente incantevole, sembrava quasi una melodia.
Pensavo ai suoi occhi verdi come la natura, che cambiavano colore a seconda del suo umore.
Capii che quando era triste erano di un grigio tenue con alcuni spicchi tendente al marrone.
Quando era felice erano verdi, di un bellissimo verde accesso.
Pensavo ai suoi mille tatuaggi, sulle braccia, sulle spalle, sul busto.
Li osservavo ogni volta che ne avevo la possibilità.
Sarei stata giorni interni a guardarli senza mai stancarmi.
E sarei stata giorni interi a guardarlo senza mai stancarmi.
A guardarlo prendersi beffa di me, come a guardarlo ridere assieme a me.
Qualunque cosa facesse, qualunque cosa mi dicesse, a me andava bene, mi importava solo che ci vedessimo, che riuscissi a vederlo nell'arco della giornata.
E anche se è sempre stato tutto così complicato, a me è piaciuto.
Mi sono piaciuti i litigi, i sorrisi, i fraintendimenti, le nostre risate.
Tutto il bene ed il male che ci facevamo, a me piaceva da morire se in quel bene e in quel male c'era anche lui, questo era quello che mi era sempre importato.
Le lotte che abbiamo affrontato assieme non sono mai state poi così tanto lotte, ma dimostrazioni di quanto uno ci tenesse all'altro.
Avevo imparato ad ascoltarlo, a sentire non più gli insulti, ma a sentire le parole che nessuno sapeva e che aveva voluto dire solo a me.
Ho imparato ad ascoltare la sua storia, a capire che non tutto era poi così perduto come pensavo.
Instaurammo una forte amicizia, eravamo come migliori amici.
Passavamo la maggior parte del tempo assieme e ci divertivamo.
Assaporai anche io quel pizzico di adolescenza che non avevo mai provato e, tutto ciò, grazie (e anche a causa) di Harry.
Tra di noi c'erano sempre stati alcuni momenti di confusione, ma non ci facevamo caso.
Beh, lui non ci faceva caso, io mi torturavo ogni volta e mi chiedevo cosa gli passasse per la testa.
Eravamo così uniti che partimmo per un viaggio e mi fece conoscere posti bellissimi che non sapevo nemmeno esistessero.
Mi portò a vedere musei, mi portò al ristorante a mangiare cibo tipico italiano, mi mostrò tantissime cose.
Mi mostrò una parte di lui che non avevo mai visto prima d'ora.
E successe lì che scoprii quanto ci amavamo, quanto avessimo avuto bisogno in tutto quel tempo di stare insieme e non lasciarci mai.
Ma forse non era destino.
Harry si cacciò nei guai e io dovevo salvare mio padre, o sarebbe morto.
Creammo piani su piani per sconfiggere quell'odiosa figura che comandava Harry e ci riuscimmo, vincemmo noi.
E dopo sei mesi le cose rimasero così: vincemmo, sì.
Ma non vincemmo la lotta tra noi stessi.
Dopo sei mesi mi misi in gioco, tutto ciò perché amavo ancora Harry e non volevo perderlo.
Commisi furti a fin di bene e Harry non poté fare nulla per impedirmelo.
Vinsi anche questa battaglia, ma me ne si presentò un'altra e non seppi cosa fare, credei di aver perso del tutto Harry.
Per sempre.

My drug » h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora