Capitolo 39

411 12 0
                                    

Pov Ester

Non mi ero mai del tutto ripresa da quell'episodio, Trent nei giorni successivi, si era dimostrato freddo e disinteressato a ogni cosa io dicessi, che fosse riguardante la sera prima o me. Aveva realmente tagliato tutti i ponti, non mi parlava, mi evitava il più possibile e declinava in malo modo ogni mio più piccolo approccio sia verbale, sia fisico. In un attimo, ovviamente, tutta la storia si venne a sapere, e divenni lo zimbello di tutti. Dopo un paio di mesi smisero di parlare di me, come se fossi lo scoop in copertina, ma l'aggettivo di zoccola, non smise mai di seguire il mio nome, almeno non finché restai li...

L'unica persona che insisteva a essere presente nella mia degenerata vita fu Vic. Lui insisteva a voler entrare e restare nella mia vita. Senza che me ne accorgessi iniziammo a frequentarci, Trent ogni volta che mi vedeva con suo fratello mi guardava con sufficienza, per poi voltarsi e insultarmi a voce bassa, ma non così tanto, voleva che sentissi, voleva farmi soffrire...mente tutto ciò accadeva solitamente Vic se la sghignazzava e mi derideva insieme a suo fratello, il che mi faceva ancora più male. Sapevo perfettamente che Vic non provava nulla per me, se non attrazione per il mio fisico, ma io non avevo una gran fama grazie a lui, ma ciò nonostante avevo bisogno sentire che almeno qualcuno mi volesse, avevo bisogno di sentirmi desiderata, e se questo comportava diventare la puttanella di Vic, nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. Senza che me ne accorgessi la mia mente mi riporto al presente. Quando rinvenni, però, mi accorsi che non era stata propriamente la mente a riportarmi al presente, quanto invece il dolore che si propagava nelle mie viscere. Era un dolore lancinante che aumentava a dismisura minuto dopo minuto. Non ne conoscevo le cause, che per me erano pressoché ignote. Il dolore, partito dalle viscere, si era espando fino a ricoprire l'intero addome e anche di più, abbassandosi fino alla vita. Non era un dolore omogeneo, anzi era più un dolore a fitte, quasi come le pulsazioni che iniziano a verificarsi sulla parte lesa dopo una gran botta, solo molto, molto amplificate. Insieme al dolore, che via via aumentava, ero anche sul punto di cadere in una piena crisi, la disperazione stava cominciando a prendere piede dentro di me, dapprima segregata in un remoto angolo della mente, poi propagatosi fino al culmine. Nella stessa situazione si trovavano lacrime, che ad ogni nuova fitta, più dolorosa e potente, erano sempre più sul punto di sgorgare fuori, e inondare le mie pallide guance. Ero rigorosamente immobile, terrorizzata anche solo dall'idea di un mio spostamento. Eppure sapevo, o perlomeno speravo, che l'unico modo per attenuare almeno un minimo le fitte e il dolore era il calore. E l'unica fonte di calore a me reperibile, era l'acqua, ovvero un bagno caldo. Per quanto desiderassi ardentemente l'attenuarsi del dolore, l'idea di spostarmi mi pietrificava ancora di più dalla paura. Avevo l'irrazionale idea che lo spostarmi dalla posizione fetale, nella quale mi trovavo, avrebbe comportato l'aprirsi delle mie viscere, lo sgorgare fuori dal petto dei miei organi, in una pozza di sangue sul letto.

Dopo un'altra interminabile sessione di fitte, decisi che forse, era meglio perdere tutti i miei organi interni sul letto che continuare a soffrire in quel modo. Decisi dunque di andare ad immergere le mie doloranti membra in una vasca stracolma di acqua bollente. Con estrema cautela e lentezza, tenendomi bene l'addome, per ogni evenienza, mi alzai. Sempre lentamente, ma questa volta con una certa premura, mi addentrai nella camera, fino a raggiungere il bagno. Stavo iniziando a riempire la vasca, quando una fitta più potente delle altre mi fece piegare in due, quasi caddi a terra, se non fosse stato per la mia mano ancorata per bene al bordo della vasca, che sorreggeva completamente il peso. Non appena ebbi finito di riempire la vasca, non mi presi neanche un momento per indugiare, che subito entrai, quasi scottandomi, per l'alta temperatura presene.

Quasi non caddi né più completo sconforto, quando a malincuore, non constatai che il dolore non si era affatto affievolito con il calore. Anzi il calore non era servito assolutamente a nulla, se non a darmi una mera speranza, del tutto infondata.

Il dolore mi stava facendo rimpiangere le mani di Josh, che a confronto sarebbero apparse come piume sulla roccia.

Stavo arrivando al punto di rottura, superato il quale la crisi non avrebbe avuto più freno, e sarebbe fuoriuscita da ogni lembo della mia pelle, dapprima con un'immensa e irrefrenabile disperazione, e dopo con un pianto amaro e divoratore.

Lo sentivo, sentivo perfettamente l'avvio verso la mia linea immaginaria considerata come limite, lo spazio si assottigliava sempre di più, fino a che non fu superata di netto, fu in quel preciso istante che un urlo straziante fuoriuscì dalle mie labbra, portandomi ad afferrare i bordi della vasca con ambedue le mani. Nel medesimo istante le lacrime iniziarono a zampillare fuori dagli occhi, ormai saturi e traboccanti di disperazione.

Ancora non sapevo però, che quello era solo l'inizio di una lunga e tortuosa strada in completa salita, che da lì a poche minuti avrei amaramente iniziato a percorrere.


ESTER (#Wattys 2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora