A distrarmi dal mio importantissimo compito è mia madre che torna a casa visibilmente adirata. Problemi a lavoro? Menopausa? Mio padre? Trovare suo figlio maggiore che sta finendo l'Accademia, per terra, in salotto, intento a costruire un castello decente coi LEGO? Sinceramente non mi interessa, ormai sono fin troppi anni che perdo tempo a parlare con lei. Un muro ti da più ascolto. La vedo, dal salotto, togliersi il giubbotto e posare la borsa nell'ingresso per poi recarsi in cucina.
Si sofferma giusto un attimo a fissarmi, mentre sconfiggo il pupazzo LEGO di Sarah con il mio, accigliandosi. "Che volete per cena, voi due?".
"E... l'ho decapitato!" esclamo, reggendo la piccola testa gialla e mostrandola a Sarah, con un sorriso vittorioso.
Lei incrocia le braccia, arrabbiata. "Non è giusto. Hai più esperienza di me in questo gioco".
Sento i tacchi di mia madre raggiungerci, per fermarsi di fronte a noi e guardarci dall'alto della sua autorevolezza. "Amore con le patate" rispondo, acidamente, alla sua domanda.
"Anche per me!" esclama Sarah, reggendomi il gioco.
Si copre il viso con le mani, tornando in cucina. "Potreste fare i seri? Non è serata per scherzare".
"Mamma non è mai serata per te. Comunque non lo so, un risotto" rispondo, non troppo gentilmente.
Lei non risponde e io lo prendo per un sì. Questa donna ha sempre qualcosa che non va, insomma capisco tutto ma... una gioia nella vita? Una sola, non penso di chiedere troppo. Sarah, per esempio. Sarah equivale a mille gioie... almeno per me.
Ci mettiamo a tavola e mangiamo, in silenzio, il nostro riso con la zucca. Insipido, ovviamente. La cena prosegue tranquilla, Sarah sale le scale per andarsi a mettere il suo "pigiamino preferito con gli orsetti!" e io e mia madre restiamo soli.
"Tra un po' è il compleanno di Sarah" comincia lei.
"Ah già". Perché sto diventando sempre più rimbambito? Eppure è dal liceo che non mi fumo più uno spinello. "Festone, quindi".
Le feste dei compleanni di Sarah sono sempre state esagerate. Le classiche feste che si organizzano nei parchi divertimento, con gli animatori vestiti da clown, con tutti i compagni di classe e con tutti i parenti, anche quelli acquisiti."Sì" mi risponde mia madre senza troppe energie.
"Se vuoi lo organizzo io". Insomma, ho solo altre tremila cose da fare, ma è meglio che rovinare il compleanno a Sarah.
Lei scuote la testa."Non è quello il problema". Beve un ultimo sorso d'acqua, cominciando a sparecchiare.
Certo che non è quello il problema. Che idiota. Sicuramente non sono abbastanza comprensivo da diventare psicologo. "Mamma, ascolta, solo una volta l'anno. Al compleanno di Sarah. Glielo devi, poi non lo vedrai più fino all'anno prossimo. È suo padre, non può mancare, lo capisci?".
Lei scuote la testa, di nuovo, aprendo una bottiglia di vino. "No" replica severamente, scolandosene un bicchiere. "Non lo voglio a casa mia, con quella... quella... ragazza" e marca per bene l'ultima parola, come se intendesse altro.
Alzo gli occhi al cielo, infastidito, soprattutto per il fatto che mia madre non capisca che tra i due l'unico idiota è mio padre; Tess è solo una povera anima innocente che si è lasciata abbindolare. "Non si parla di quello che vuoi o non vuoi tu, mamma. È il compleanno di Sarah e lei vuole che ci sia anche nostro padre. Penso che subirti qualche ora con lui, piuttosto che farle passare il peggior compleanno della sua vita sia leggermente meglio".
Lei, con rabbia, sbatte il bicchiere sul tavolo e mi punta il dito contro. "Sei mai stato tradito da una ragazza, Jamie? No. Non sai minimamente come mi sento, quanto mi faccia rabbia il solo pensiero che tra una settimana dovrò stare nella stessa stanza con lui. Lui mi ha rovinato" aggiunge, lentamente. "Ha reso la mia vita un inferno".
Sospiro, mettendo la mia mano sopra la sua. "Lo so, e lo odio anche io per questo. Ma feriresti tua figlia così. Lei non sa niente dei vostri litigi e non deve venire a sapere nulla. Deve passare il compleanno come ha sempre fatto. Alla fine, pensa agli altri anni: non è stato poi così male. Se al banco dei tramezzini c'è lui e tu vuoi un tramezzino te lo prendo io. Farò da jolly, per tutto il tempo, come ho sempre fatto. Ma non rovinare la festa a Sarah. Se lo fai, io me ne vado da questa casa. Sai che per me nessuno importa più di lei".
Le scende una lacrima, ma poi sospira e annuisce. "Già. Però chiamalo tu, d'accordo?".
"Certo che lo chiamo io. Vieni qui" mormoro, alzandomi per abbracciarla. Di solito non lo faccio, ma se apre una bottiglia di vino, non è certo un buon segno.
-
Il giorno dopo all'Accademia, la mia prof mi viene incontro raggiante. Vorrei tornare indietro e cambiare strada, ma ormai mi ha visto.
"Buongiorno! Allora, come è andata da quel fotografo che le avevo consigliato?"Ehm, veramente c'era la sua segretaria e voleva possedermi sulla scrivania, quindi no, non è andata bene. "Buongiorno, professoressa. In realtà non molto bene, ci sono state delle... incomprensioni con la sua segretaria e ho preferito andare via. Diciamo che non hanno dimostrato la cortesia che mi aspettavo da un posto come quello."
Lei sembra sconvolta. "Dici sul serio? Mi sembra così strano, di solito è così cordiale... Mi dispiace davvero. Sarà per la prossima volta, d'accordo?".
Sorrido. "Certamente". Non appena mi volta le spalle il mio sorriso si spegne in una smorfia annoiata: ma anche no. Mai più da un tipo consigliato da lei, dovesse essere l'unico posto di lavoro disponibile in tutto il mondo... beh forse per non morire di fame sì, ma ad ogni modo...
Faccio lezione, sempre accompagnato dalla mia fedele reflex della Nikon, passando da aula in aula, dimenticandomi dei problemi familiari.
Ma una volta fuori di lì, tornano tutti in mente, quasi si fossero affezionati al mio cervello. Talvolta mia madre mi fa pena, così tanto che, proprio come è successo ieri sera, mi viene voglia di abbracciarla. Non penso che sia una donna debole, ma che semplicemente non abbia ancora trovato il modo giusto per andare avanti. È vero che mio padre è un cretino, ma ha ricominciato. Lei no, si ammazza di lavoro e non pensa ad altro. Sono quasi del tutto sicuro che qualche collega l'abbia invitata a cena fuori, perché c'è da ammettere che, tolte le occhiaie, mia madre è una bella donna. E sono altrettanto sicuro che lei abbia declinato l'invito. È palese che non vuole innamorarsi mai più, ma al tempo stesso stare da soli non fa bene a nessuno. Magari anche per una notte sola, insomma, io non la biasimerei. Mi sembrerebbe solo un po' strano, insomma è qualcosa di terribilmente infantile per una donna matura com lei.
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Giunto alla fermata dell'autobus, riconosco una chioma nera e blu in lontananza: sempre quella ragazza che somiglia ad una bambina. Comincio a pensare che mi perseguiti. In quel momento mi chiama mia madre.
Non faccio nemmeno in tempo a salutarla che lei mi parla sopra. "Dove sei?".
Roteo gli occhi, scocciato. "Sto per prendere l'autobus. Perché?".
"Devo correre a lavoro e Sarah non può restare da sola a casa". Dall'altra parte del telefono si sente lei che urla: "Sì che posso!".
Sospiro, massaggiandomi una tempia. "D'accordo" dico, ridacchiando.
Sento un attimo di caos e poi la voce di Sarah. "Mi porti al parco?" mi chiede, speranzosa.
"Sarah, sta per piovere" le faccio notare, dispiaciuto di doverle dire di no.
"Uffa" brontola.
"Troveremo qualcosa da fare, non ti preoccupare. Scegliamo insieme le canzoni per la radio, d'accordo?" le chiedo, sapendo che si diverte sempre a farlo con me
"Va bene!" esclama. "A tra poco!"
"A dopo" la saluto e attacco e mi infilo il telefono in tasca.
"Scusami". Alzo gli occhi e quasi non ci credo. La bambina/ragazza mi sta parlando? Questa sì che è una cosa che non capita tutti i giorni. Si avvicina, con un sorriso imbarazzato.
"Per caso tu lavori in radio?"
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non lasciarmi vincere
Romance(CONCLUSA) Questo libro parla di una storia, e a me piace pensare che sia vera. Una come tante. Una tra un milione. Questo libro parla di una storia, una storia di sogni. Loro sono i veri protagonisti, qui. Quelli che danno alla vita un senso, ch...