Capitolo 37. -L.

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Dopo essere uscito dal ristorante, mi dirigo verso il luogo con cui mi devo incontrare con Derek. Sono nervoso, cerco di calmarmi. Non devo farmi troppi film mentali, probabilmente non c'è nessun malinteso per questo appuntamento.
Non. devo. illudermi.

Lo scorgo tra le persone e lo raggiungo. "Ehi" dico, salutandolo, una volta davanti a lui.

Lui mi sorride. "Ciao, come stai?".

"Tutto bene, grazie".

"Grazie a te, per avermi accompagnato. Se ti annoi, possiamo andarcene".

"Ma no, mi piacciono le mostre" esclamo, sincero.

"Bene , allora" mi dice, con un sorriso. "Andiamo".

Annuisco, seguendolo verso l'entrata della sala. I quadri sono di arte contemporanea. Non mi dispiacciono, sono decisamente liberi ad interpretazione. Ognuno può vederci quello che sente. Rimango a fissare per un po' un'opera installata addosso al muro, e poi sento un braccio intorno alla vita.

Mi volto, mentre sento il cuore fare un tuffo. "Ti piace?" mi chiede Derek.

Apro la bocca, cercando di dargli fiato, ma non ci riesco. Così, infine annuisco, con un sorriso. La mia gola è stretta in un nodo e non mi lascia parlare. I nostri visi sono decisamente troppo vicini. Distolgo lo sguardo, allontanandomi appena.

"Quindi..." mi dice, mentre continuiamo la nostra passeggiata. "Cosa intendi fare ora che hai finito il liceo?".

Mi stringo nelle spalle. "Non so. Penso che per il momento mi limiterò a mettere da parte i soldi. Poi quando avrò deciso, comincerò seriamente". Annuisce. "Tu?" gli chiedo.

Indica la stanza. "Voglio studiare storia dell'arte. Voglio inserirmi nel settore. Sento che è questo il mio posto".

Annuisco, entusiasta. "Sì, ti ci vedo un sacco! Sai disegnare?".

Fa una smorfia. "No, per di più faccio delle bozze, ma non sono nulla di che".

Rido. "Non ti credo, non hai una foto?".

Prende il telefono dalla tasca dei jeans e prende a scorrere tra le foto, per poi aprirne una. Me lo porge. È la riproduzione di una statua greca. È vero, manca di tecnica, ma il talento c'è. Lo guardo, con le sopracciglia alzate, e lui sogghigna.

"Te l'hanno mai detto che sei troppo modesto?" gli dico, restituendogli il telefono.

"Sì. Mia madre me lo dice sempre".

"Ha ragione". Ride ancora. Allora, se non avesse quel sorriso perfetto, sarebbe molto più semplice non pensare al suo braccio intorno alla mia vita di poco fa.

"Senti..." mi dice e non mi volto a guardarlo. Non voglio vederlo in faccia. "Ti va di fare un aperitivo, dopo?"

Deglutisco a fatica. "Certo".

Continuiamo il giro e un'altra ora passa nel massimo della tranquillità. Non si avvicina di nuovo e non mi chiede di uscire con lui. Per questo il mio cuore rallenta ma si intristisce.

Saliamo in macchina. Nella sua macchina. Guardo attentamente fuori al finestrino, mentre cala un silenzio mortale tra di noi. Lo sento tamburellare con le dita sul volante.

"Devo dirti..." diciamo insieme. Lui ride. "Prima tu".

Sospiro. "Non so bene cosa questo voglia dire per te, ma... insomma lo so che sei etero. Ma voglio che tu sappia che io non lo sono".

Scoppia a ridere non appena finisco al frase, facendomi sentire un idiota. "Leo, si vede da lontano un miglio che non sei etero. Ed è un complimento". Lo guardo per un secondo: mi sta sorridendo. "Comunque, sì io sono etero" mi dice, e qualcosa dentro di me si spezza. Pensavo che sarebbe andata diversamente? "Ma sono anche gay". Lo guardo e lui sorride alla mia espressione allibita. "Mi piacciono sia ragazze che ragazzi. E, in questo momento, mi piaci tu".

non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora