Capitolo 23. -M

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Le vacanze di Natale sono iniziate, finalmente; amo il Natale, con la neve, i regali, il camino, il cibo, l'allegria. Dire che è magico è scontato, ma è vero: non sono mai stata triste nel periodo natalizio, solo felice e spensierata. Piuttosto mi deprimo dopo, quando scopro di aver preso settordici chili, tutti sui fianchi e zero sul seno. 

Questo Natale però è diverso, non perché incontrerò qualcuno di speciale -magari proprio Babbo Natale in carne e ossa- ma perché non lo passerò a casa mia con i parenti, sarò io ad andare da loro. Sono contenta, in fondo. Molto in fondo. Le uniche cose positive sono la neve, molta più che in città -essendo un paesino d'alta montagna- e l'alloggio in un hotel a quattro stelle. Spero di riuscire a passare l'intero soggiorno lì dentro. 

Le cose negative sono ben più: i cugini di tre anni che vorranno farmi fare il giro turistico della casa nonostante io la conosca benissimo, gli zii logorroici che non mi lasceranno un attimo in pace e infine i miei genitori, che tireranno in ballo discorsi su di me fin troppo personali.
Già sento la voce maligna di mia zia chiedermi: "Allora? Il fidanzatino?"
Ad esempio, sono sicura che appena entreranno invece di dire "buonasera" diranno: "ma lo sai che mia figlia andrà ad un istituto di moda?". Ecco, tutte queste cose sono quelle che distruggono lo spirito natalizio, lo frantumano, come una palla di neve addosso ad un muro. Non perché siano cattivi loro, ma perché fanno diventare isterica me. 

Così, di fronte alla porta di mia zia, la sorella di mia madre, mio padre mi sistema la giacca, portandomi a guardarlo come se fosse un pazzo. 

"Avevi un po' di neve..." si giustifica lui, stringendosi nelle spalle.  

Dopo un secondo la porta di apre e le ben quattro ghirlande appese oscillano pericolosamente. 

"Amelia!!" strilla mia zia, come se non la sentisse da quando avevano due anni. 

"Stephanie!" grida in risposta mia madre e si stritolano a vicenda. Guardo mio padre preoccupata e mi avvicino per ricevere la mia porzione di abbracci stritolanti. 

Mi guarda dall'alto in basso, come se stesse valutando di quanti centimetri non sono aumentata da quando avevo tredici anni. "Oh, la mia Melanie! Ma come sei cresciuta, sei bellissima, cara, tutta tua madre! Oh, vieni, vieni entra pure, i tuoi cuginetti vorranno giocare con te!" 

"Sì..." rispondo, forzandomi di sorridere. "Ma hanno anche altri cugini oltre me..."

"Oh, Mel!" mi rimprovera mia madre. "Lo sai che ti adorano."

Non sono ricambiati, penso. Prima che io possa dire qualcosa, o cercare di togliermi il giubbotto, due braccia mi tirano le maniche verso il basso, facendomi abbassare lo sguardo. 

"Mel!" gridano insieme. "Vieni a giocare con noi?".
Perché mi ricordano le bambine di Shining?

"Arrivo subito, mi tolgo la giacca, d'accordo?" gli sorrido, sperando di ingannarli per il resto del giorno. In fondo i bambini vengono costantemente bombardati da false speranze. Loro cominciano a lamentarsi, ma io insisto, non ho alcuna intenzione di rovinarmi il Natale. Alla fine, non so come, si arrendono e io riesco finalmente a togliermi la giacca. Cristo, non vorrò mai e poi mai fare figli. Sono più appiccicosi del miele, ed è tutto dire. 

Vado in cucina per aiutare, sperando che nessuno mi chieda niente. Stranamente mi limito ad ascoltare le solite discussioni tra donne in carriera e sono così silenziosa che loro nemmeno si accorgono di me. Poco prima di pranzo decido veramente di girare per la casa. L'ultima volta che sono stata qui era quattro anni fa e non è cambiato poi così tanto, rimane il mega villone in montagna con tanto di piscina interna riscaldata. E pensare che non c'è nemmeno posto per tutti per dormire, per quanta gente ha invitato mia zia. Persino i cugini dalla California, ma chi li conosce?! Mai visti in vita mia e per di più hanno quell'aria da viziati e sembrano dire: "Io abito in America e tu no, perdente". I miei zii si salvano, anche se per poco: il marito di zia Stephanie è un imprenditore di un'industria di gomme, e la maggior parte vengono anche usate da marche famose come la Ferrari o la Mercedes. È così fissato col suo lavoro che non fa altro che parlare di gomme, del rumore che fanno sull'asfalto, di come permettano di frenare anche a velocità elevate, come se l'unica cosa che muovesse una macchina fossero le gomme, e non ci fosse anche un'altra cosa abbastanza fondamentale chiamata "motore". Il fratello di mia madre invece è un pezzo di pane. È il più buono e caro che ci sia lì in mezzo. Fa un lavoro, a mio parere, bellissimo: è un giocattolaio, e non è un semplice commesso, lui costruisce i giocattoli che vende. Forse è anche per questo che è una persona semplice: quando parli con lui è come parlare con un bambino. Penso che la sua mente sia rimasta ferma ai dieci anni e che solo il suo corpo sia invecchiato. Eppure ogni volta che lo vedo mi fa una tenerezza immensa, soprattutto quando si mette a giocare con i figli di zia Stephanie, e mi sento in colpa perché li ho lasciati a lui, facendogli subire le torture più estenuanti. Anche se a lui non sembra poi dispiacere così tanto. 

Decido di uscire, di nascosto, per prendere un po' d'aria. Ci sono più persone lì che a un concerto di Beyoncé.
Sì, antifona leggermente esagerata.
Mi nascondo negli abiti, tra giubbotto, sciarpa, guanti e cappello. Fa freddo e non mi interessa di sembrare un omino Michelin che non riesce a toccarsi i piedi. Saltello tipo Baymax fino alla porta dell'hotel, dove finalmente mi tolgo qualche strato di vestiti.

Mi dirigo verso il bar, con più sete di quanto pensassi. Mi siedo di fronte al balcone e il tipo sta asciugando dei bicchieri. 

"Ciao, cosa posso offrirti?" mi chiede, senza alzare gli occhi dai suoi bicchieri.

Ci penso per pochi  istanti. "Un tè freddo" rispondo poi, sicura. 

Mi guarda, per accertarsi che io stia parlando sul serio. "Come, scusa?". 

"Un... tè. Freddo" ripeto, confusa. "Al limone" aggiungo, al suo silenzio. 

Lui, accigliato, tira fuori una bottiglietta di tè e prende un bicchiere, riempiendolo. "Posso dirti che tra almeno duecento persone che servo ogni giorno, tu sei l'unica che mi ha chiesto un tè freddo in pieno inverno? All'ora di pranzo per di più". 

"Beh, sono originale" rispondo, alzando le spalle. 

Lui borbotta qualcosa come "direi pazza", ma io sorvolo, bevendo un goccio della mia bevanda. Mi ritrovo a fissarlo con attenzione. È abbastanza carino, ha gli zigomi marcati, le labbra carnose, i capelli col taglio alla Justin Bieber, i bicipiti che stanno stretti tra le maniche della camicia...  E poi ha gli occhi verdi: rispetto, fratello, a te e tutti gli altri ragazzi con occhi verdi su questo pianeta. Anche lui mi fissa, ma non lo noto nemmeno, sono concentrata a capire di quale verde siano i suoi occhi. Per qualche ragione a me ignota, sembra che si siano avvicinati ai miei, così che io possa esaminarli meglio. Somiglia proprio a qualcuno, ma a chi...

 "La mia stanza è libera...". Quelle parole mi sembrano surreali, come se non fossero state veramente pronunciate. Poi mi rendo conto che i nostri visi stanno a meno di un centimetro di distanza e spalanco gli occhi, accorgendomi del malinteso che ho creato. 

"PREGO?!" grido, stridula alla sua domanda. 

"Ehi, non te la prendere con me" si giustifica lui, ridacchiando e tornando dietro il bancone. "Sei tu che hai iniziato". 

"Io non ho fatto proprio niente!" mi difendo subito, arrossendo. 

"Oh, ma avanti! Mi guardavi con una faccia da pesce lesso. Mancava solo la bava all'angolo della bocca. È normale che ti abbia detto una cosa del genere" mi provoca, senza alcun tipo di timidezza. 

"B-beh" balbetto, cercando le parole. "È che... somigliavi a qualcuno che conosco". 

Lui aggrotta le sopracciglia, dubbioso. "Tipo chi?". 

"Mio cugino" mento. "Avrà più o meno la tua età". 

Gira gli occhi sbuffando. "Hai finito il tè. Fila via" mi invita, riprendendolo e aggiungendolo alla pila da lavare. 

Io non dico niente e mi sbrigo a scappare. Non somigliava a mio cugino, ma al mio ex, ecco perché mi era sembrato carino. 

Però col cavolo che ci torno da sola in quel bar. 

Diciamo pure col cavolo che ci torno e basta. Qualcuno disse che è meglio evitare di tornare nei luoghi in cui hai fatto delle figuracce.
L'ho detto io e posso giurarlo in tutte le lingue del mondo che è vero. 

Sospiro, pensando che almeno a Capodanno mi divertirò con Leo e Agatha.

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Salve a tutti!
Eccomi tornata! ^^
Ora che l'inferno conosciuto anche come MATURITA' è giunto al termine, mi concentrerò molto di più sulla storia e la mia "collega" con me!
Lo so che fa caldo e a pensare al Natale fa ancora più caldo, ma spero che questo capitolo vi sia di compagnia! 
Con affetto, 
Mars.


non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora