Capitolo 3. -M

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Cinque anni fa, quando ho scelto il liceo che avrei frequentato, non l'ho fatto secondo i miei gusti. Le lingue sono indubbiamente utili, soprattutto in questo periodo in cui se non si conoscono almeno due lingue, nessuno riesce ad avere un posto di lavoro decente. Non sono l'unica a pensarlo, anche Agatha e Leo hanno deciso di seguirmi in questa folle missione per sperare di avere più possibilità in futuro. O meglio, Agatha lo fa per questa ragione. Per Leo, invece, sono abbastanza sicura che un liceo ne valga un altro.
Sono convinta che, in fin dei conti, questo liceo mi sarà utile, ma frequentarlo è sempre più difficile. Studiare quello che non mi piace, rubando del tempo che impiegherei invece a fare quello che mi piace di più, mi infastidisce profondamente.

Fare moda è ciò che il mio cuore desidera di più. Non c'è nessun altra cosa che mi piaccia quanto disegnare abiti. Disegnarli per persone normali, poiché le pubblicità delle aziende di moda sono sempre più vicine al paranormale. Farlo mi rilassa, mi soddisfa: è come se facessi qualcosa per me e per chi un giorno, forse, li indosserà.
In più, ho una gran fantasia. Mi piace sperimentare ogni tipo di stile e vicino a quello immaginarmi un tipo di persona che possa indossarlo: una cantante pop, uno scienziato, uno skater, una liceale, come me. Molti capi che creo me li immagino addosso ad Agatha, poiché sono neri e in stile grunge, come lei.

Fortunatamente non ho mai smesso di essere un autodidatta in questo campo e devo dire che negli anni sono migliorata molto. La proporzionalità tra braccia, busto e gambe dei miei manichini somiglia sempre di più a quella umana. Con ancora un po' di pratica potrò cominciare a ritenermi soddisfatta. Mi consolo pensando che le lingue sono importanti anche nell'ambito della moda. Visto che quest'ultima è internazionale, saper comunicare è essenziale.

Scorro la matita sul foglio davanti a me, terminando uno dei miei tanti modellini. Ne ho fatti già una diecina e, modestia a parte, non so decidere quale sia il mio preferito. Forse quello con l'abito da sera verde smeraldo? O quello casual ma molto particolare, con la sua gonna a pois? Mi stringo nelle spalle pensando che sono tutti belli.

Inaspettatamente mia madre entra in camera e il cuore mi sale in gola. Con un braccio sposto tutti i fogli da una parte della scrivania e mi ci sdraio quasi sopra, sorridendo nel modo più ingenuo a mia madre. Che pessima situazione.

"Tesoro, io e papi andiamo a dormire... se senti rumori strani è il gatto, d'accordo?".

La guardo, confusa. "Quale gatto?" le chiedo, divertita. So benissimo che non sarà nessun gatto a fare rumore.

Lei non sembra trovare risposta e lancia uno sguardo sulla mia scrivania. "Stuzzichino... ma cosa stai facendo?".

"Niente!" esclamo, troppo in fretta. "È solo roba di scuola. Noiosa. Brutta, bruttissima".

La sua espressione diventa di puro disgusto. "Oh, se è roba noiosa di scuola non voglio nemmeno vederla! Il mio ultimo giorno di scuola ricordo che fu...".

"Il più bello della tua vita, sì, me lo hai già detto. Il mio non è poi così vicino, quindi potresti andare?" le chiedo, fingendo pazienza e gentilezza. A volte mia madre diventa insopportabilmente appiccicosa.

Mi sorride in modo dolce, strizzando l'occhio. "Beh, su tesoro, non essere negativa: è l'ultimo anno e poi... vieni con mammina e papino in giro per il mondo!"

"Sì... Che bello!" Il mio sorriso tirato è più falso delle labbra di Kim Kardashian.

"Ok, pasticcino, fai tanti bei sogni". Finalmente chiude la porta, facendomi tirare un sospiro di sollievo. Fortunatamente i miei modellini non si sono stropicciati troppo. Passo un pugno su ciascuno dei fogli per ridargli forma, mentre una certa ansia si fa spazio nel mio cuore.

Voglio bene ai miei genitori, davvero, non penso ci siano persone al mondo a cui io tenga così tanto. Sono fantastici, con tutte le imperfezioni che hanno e non li cambierei mai per nulla al mondo. Mi fanno sempre fare quello che voglio e non mi hanno mai detto di no, e sono comunque riusciti a non rendermi viziata.
Nonostante questo, dopo di me viene la loro azienda e visto che io e l'azienda siamo le due cose più importanti per loro, io e lei insieme saremmo un sogno che si realizza... per loro. Io non voglio la loro azienda. Sinceramente vendere prodotti biologi e fingermi hippie non è mai stata una bella prospettiva. Io voglio studiare moda e basta.
Voglio cucire i vestiti che disegno e voglio farli indossare a dei modelli, voglio che le passerelle di tutto il mondo siano percorse da esseri umani con i miei vestiti indosso, voglio che con i miei vestiti si facciano delle battute squallide e che tutti le capiscano e ci ridano sopra. Non se questo fa di me una persona terribilmente ambiziosa, ma in caso sia così non mi tocca minimamente. Non so come ci arriverò, ma troverò il modo.

Il problema è spiegarlo ai miei genitori. Perché anche se non mi impedirebbero mai di seguire la strada che voglio intraprendere, già so di non poter sopportare la delusione nei loro occhi. È questo quello che succederebbe, al novantanove virgola nove, nove, nove, nove... nove percento. Eppure desidero così tanto che loro mi indirizzino verso quello che voglio fare...
Insomma, anche se non hanno mai espresso direttamente che vogliono costringermi a fare il loro lavoro, l'hanno accennato più di una volta, dando per scontato che sia quello che io voglio fare, ma non con cattiveria. Così come mi hanno indirizzato per la decisione del liceo. Sono così distratti, non si accorgono minimamente che il mio interesse per la loro azienda è pari a zero. Ecco perché ho paura di dirglielo: non voglio deluderli, non voglio che ci rimangano male. È come far credere a un bambino che gli darai una caramella alla fragola e invece poi gliene dai una di un altro gusto che probabilmente non gli piace. E non si fanno piangere i bambini.

La luce del sole è ormai completamente calata. Mi acciglio, mentre guardo il buio fuori dalla finestra e penso che quando mi sono messa a disegnare il sole era molto alto nel cielo. A questa consapevolezza i miei occhi si appesantiscono e la forza mi abbandona, facendomi accasciare piano piano sulla scrivania, finché le mie palpebre cedono alla stanchezza e il mio corpo al sonno.

non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora