Capitolo 50. -J

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"Ciao". 

"Ciao". 

I suoi capelli sono proprio come me li ricordavo. Lunghi, voluminosi e disordinati. Non posso che ridere nel vederla. Non perché sia buffa, ma perché mi sembra così surreale. 

La mia vita, nelle ultime settimane, è stata stravolta, la terra sotto i miei piedi è cambiata, il mondo intorno a me non è più lo stesso e io, in fondo, non sono più lo stesso. 
L'unica cosa che invece è rimasta uguale, insensibile ai cambiamenti e straordinariamente costante, è il mio amore per lei.

Non è diminuito, anzi, se possibile è persino aumentato a causa della lontananza. Ed è un sentimento che mi riempie così tanto il cuore che penso possa scoppiare da un momento all'altro. In fondo, lei è la mia corda. 

"Perché non hai le occhiaie?!" mi chiede, mettendo il broncio. 

"Le occhiaie?" le faccio eco, confuso. Forse, per colpa del suono gracchiante riprodotto dal mio telefono, non ho ben capito. 

"Sì, sai quelle macchie nere che vengono sotto gli occhi quando le gente è stanca... Tu non ce l'hai". 

Rimango per un attimo a fissarla. "Ed è una cosa buona?". 

Lei sgrana gli occhi. "Certo che no! Io ho iniziato oggi l'università e ho già più occhiaie di mia madre! Tu ti sei trasferito in un altro paese e hai l'aspetto di uno che sta bene!" si lamenta, sospirando. 

Scoppio a ridere e mi sistemo meglio sul divano. Il mio divano. Quello di casa mia. Casa che pago mensilmente. Dio, quanto fa strano dirlo. "Perché io sto bene. Certo, mi manca casa ma... è quello che ho sempre voluto. Venire qui". 

La sua espressione si addolcisce. "Lo so". 

Rimaniamo a guardarci come due imbecilli per qualche secondo, finché non decido di informarmi sulla sua, di vita. "E tu? Come ti sembra l'Accademia?".

"Oh, è tutto magnifico! Le lezioni, le persone, l'ambiente!" esclama, e il suo sorriso si allarga. "Mi sento finalmente a casa". 

"Sono contento per te" le comunico, sinceramente. "Entrambi stiamo realizzando i nostri sogni". 

"Già" risponde lei, abbassando lo sguardo imbarazzata. "E di noi?". 

Domanda che mi arriva dritta al cuore. Mi fa male, come una stilettata. Inaspettata e fatale. "Noi?" ripeto, sperando che si riferisca ad altro. 

"Che ne sarà di noi?" bisbiglia e per un attimo penso di averlo immaginato. 

No, non si riferiva ad altro. Mi ha chiesto esattamente quello che temevo. 
Noi? Il noi esiste ancora. Per me, esisterà sempre il noi. Non penso di riuscir ad immaginare un altro noi come il nostro. Ma la situazione è quel che è, e la sua domanda è più che logica. 

"Noi siamo ancora noi" la rassicuro, dando voce ai miei pensieri. "Non pensare solo per un attimo che io abbia pensato di finirla". 

Lei mi sorride, sollevata. "Nemmeno io l'ho pensato".

Decido di salutarla a malincuore, dicendole che presto dovrò andare a lavoro. 
Lavoro che consiste nell'essere cameriere in una tavola calda tipica francese. Quella dove si mangiano le frittate di patate e una vasta scelta di formaggi, insieme ad un buon vino.
Per ora mi arrangio ad aiutare in cucina, ma mi sto impegnando a migliorare la lingua, così che possa cercarmi un posto di lavoro che mi permetta di guadagnare un po' di più.

La mia casa non costa molto, ed è abbastanza grande per due persone. Sì, due.
Per me e Priya. 

Priya ha origini indiane. Non le ho mai chiesto dove sia nata esattamente, ma se non si tratta di Nuova Delhi sono sicuro di non conoscere la città. Sono molto ignorante in geografia che, a pensarci bene, non è proprio il massimo per un fotografo. Potrei scoprire un sacco di paesaggi e posti da fotografare, se solo mi documentassi un po' di più. Bene, promemoria per me: apri un dannato atlante. 
Ma, tornando a Priya. Il nostro primo incontro è stato molto strano. Ed è andata più o meno così: 

non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora