Capitolo 17. -M.

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Quando ho raccontato alla mia famiglia delle accademie, hanno riso per mezz'ora di fila, soprattutto per il tizio strambo dell'accademia kitsch. In effetti, non credo di aver mai incontrato una persona più strana di lui. In realtà, ripensandoci, non era poi tanto male. Era simpatico e allegro, certo, parlava come fosse radio-telecomandato, però era unico nel suo genere.
Essere realmente unici di questi tempi non è semplice.

Dopo che le risate acute di mia madre sono riuscite a calmarsi, ho finalmente parlato loro dell'Accademia che mi ha sorpresa di più, ovvero l'ultima che sono andata a visitare. Gli ho parlato della cortesia delle persone della segreteria, del bell'ambiente che ho trovato e dei parecchi sbocchi lavorativi che potrei avere una volta presa la laurea.
Loro mi sono sembrati molto entusiasti. Fin troppo entusiasti, a dirla tutta, visto che mio padre ha deciso di stappare una bottiglia di champagne per festeggiare.

Finiti i festeggiamenti, però, mamma mi ha fatto una domanda a cui non ho saputo rispondere: a quanto ammontasse il costo annuo delle tasse universitarie.
Ho aperto la bocca, ma poi non ne è uscita nemmeno una parola perché mi sono accorta di non essere a conoscenza di quel piccolo particolare.
E in realtà non è un particolare poi così piccolo: si parla di soldi.

Sono andata a controllare sul sito, ma non c'era scritto da nessuna parte. Così, sono stata costretta a tornare lì per farmi spiegare il tutto.
Ho deciso di riandarci dopo scuola, tanto non mi pesa affatto, anzi ci torno molto volentieri.
A fine lezioni, i gemelli mi hanno chiesto se volevo che venissero con me, ma ho declinato l'offerta. In primis, ci metterò davvero poco, un'ora al massimo. Poi, farlo da sola già mi fa sentire più matura e indipendente, una sensazione che mi piace davvero molto.

Una volta arrivata alla fermata dell'autobus però, mi rendo conto che c'è solo un piccolo fastidioso problema... un altro: diluvia e io ovviamente sono senza ombrello, né cappuccio.
Prego un qualche dio di non incontrare James proprio oggi, viste le mie pietose condizioni. Se mi vedesse così sarebbe la fine... già è convinto che io sia una pazza...
Aspetta, Mel, frena.
Non me ne importa niente se mi vede così, ci ho parlato una volta sola, non mi conosce, non lo conosco... non me ne frega proprio niente.

Poi lo vedo camminare in lontananza verso di me -o meglio verso la fermata- e impreco.
No, davvero, grazie dio!
Appena si avvicina un po' di più mi riconosce, mi sorride dall'alto della sua statura completamente asciutta e coperta da un grande ombrello nero. "Ehi, guarda chi c'è".

"Ciao" lo saluto, senza troppo entusiasmo.
Dentro, in realtà, stanno succedendo moltissime cose: il mio stomaco sembra che si stia esibendo in uno spettacolo circense, mentre il mio cuore sembra che si stia impegnando con tutto sé stesso per uscire dal mio petto. Tutto questo solamente perché il mio cervello ha realizzato che mi ha riconosciuta e che mi ha salutata dopo una settimana in cui non ci siamo visti.
Ma sono cose che lui, naturalmente, non dovrà mai sapere.

"Ti sei dimenticata l'ombrello?" mi chiede, indicando i miei capelli bagnati.
Forse fa di cognome «Capitan Ovvio». 

"Evidentemente sì" rispondo, con tono duro e infastidito. Di sicuro non sto ferma sotto la pioggia, lasciando che questa entri in ogni lembo dei miei vestiti, solamente perché mi diverte.
Poi lo sento ridere e lo fulmino con uno sguardo: non sa che ridere è l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare.
Lui smette ma continua a sogghignare mettendosi, con mia grande sorpresa, vicino a me per coprirmi col suo ombrello. Adesso ci si sono messi anche i miei villi intestinali, che sembrano stiano ballando la conga.
Fingendo di essere completamente a mio agio, mi acciglio, mentre lo guardo cambiare canzone sul telefono. Lui non sembra fingere: è decisamente rilassato. Perché non è nervoso nello starmi vicino, così come io sono nervosa vicino a lui? "Dovrei intenderlo come un atto di gentilezza?" gli chiedo, mettendoci tutta l'asprezza possibile nella voce.

Alza gli occhi su di me, con un'espressione divertita sul viso. "Ehi, se vuoi ti lascio sotto la pioggia, antipatica" mi dice e fa per togliersi.

"No, no..." comincio, tirandolo per un braccio, così che torni a coprirmi e, soprattutto, torni a stare accanto a me. "E poi non sono antipatica."

"Stamattina molto" replica lui dopo una risatina.
Beh, perché non inizia a farsi due domande?

Alzo il mento, badando a non guardarlo. Ho paura di arrossire, sotto il suo sguardo e non voglio che lui lo noti. "Beh, ho le mie buone ragioni."

"Sono sicuro di sì" gli sento dire, per poi ridere ancora.

Restiamo in silenzio e io guardo dritto davanti a me. Non voglio offrirgli una perfetta panoramica della mia faccia piena di trucco sbavato e di capelli appiccicati alla fronte. Nonostante questo sento il suo sguardo su di me e mi sento a disagio.
Perché mi guarda, che diavolo vuole?
Mi volto, imbarazzata e vedo che mi guarda con un lieve sorriso sulle labbra. Mi asciugo il trucco con la manica del giacchetto.
"Smettila di ridere di me, lo so che ho il trucco sbavato, poi me lo sistemo" borbotto, sempre più imbarazzata.

"Credimi, non stavo pensando per niente a quello" mi risponde, con una voce diversa. Lo guardo, confusa, ma poi un autobus si ferma di fronte a noi e lui si sbriga a salire. Seguo con lo sguardo il mezzo fino a che non scompare dietro una curva.

L'acqua fredda mi picchietta sul viso, ma la ignoro.
Che diavolo voleva dire quello che mi ha detto? Come dovrei intenderlo? A cosa pensava, allora?
Mi sveglio quando un altro autobus si ferma di fronte a me e salgo, mettendomi vicino ad un finestrino.

Certo che quel ragazzo è strano: non lo conosco, non posso dedurre nulla del suo carattere, ma quella frase mi ha confusa. Perché l'ha detta? Voglio dire, sono una ragazza di diciotto anni, un tizio che mi dice una cosa del genere... fa pensare ad altro, mi fa sperare, mi confonde! Non capisco le sue intenzioni... perché i ragazzi non sono più chiari? Come diavolo dovrei interpretare quella frase?!

Scuoto la testa mentre le gocce di pioggia sul finestrino fanno a gara a chi scorre più veloce. Probabilmente non era nulla, mi sto solo fasciando la testa. È chiaro che non fosse nulla. E poi non posso andare nel panico per ogni frase ambigua che un ragazzo mi dice. Sarei troppo emotiva, altrimenti. Se ne vada a quel paese, solo perché ha degli occhi chiari stupendi e un sorriso da togliere il fiato non può fare o dirmi quello che vuole. La prossima volta gli sputo in un occhio. E poi, si sa perché non si è fatto vedere per una settimana? No! Quindi non può ricomparire dal nulla sperando di cavarsela coprendomi dalla pioggia con l'ombrello.
Ma che sto dicendo? Non sono la sua ragazza, non deve cavarsela, effettivamente lui può fare quello che vuole. Ma io anche. Quindi posso benissimo ignorarlo. Sì, ho deciso, lo ignorerò da ora in poi. Il massimo che farò sarà ascoltare la sua radio, perché mi piace. E poi ha una bella voce...
Oh maledizione! Perché non va via? Perché penso solo a questo? Nemmeno la musica mi distrae. Mi guardo intorno cercando una persona abbastanza stramba da farmi distrarre. Eccola, una signora con l'uncinetto sull'autobus. Sospiro e la guardo lavorare a maglia perdendomi nei movimenti meccanici e precisi che non riuscirei mai a fare così veloce. Per la durata di una canzone ha funzionato, ma poi la signora è dovuta scendere e io la seguo con lo sguardo, maledicendola per avermi abbandonato.

Finalmente arriva la mia fermata e scendo, correndo verso l'edificio dell'Accademia. Passo qualche minuto con la segretaria, la stessa della prima volta, che mi spiega che il pagamento delle tasse varia in base al reddito annuo della famiglia, perciò una volta che l'avrò dichiarato, potrò vedere quanto dovrò pagare. È una cosa che mi mette un po' d'ansia, poiché immagino che i miei, a causa dell'azienda, non abbiano un reddito molto basso. Comunque, mi ha indicato il prezzo minimo e il prezzo massimo a cui le loro tasse arrivano e per un'accademia mi sembra del tutto normale. Non penso che sarà un problema per i miei: saranno fin troppo contenti per me per pensare ad altro. La segretaria continua, spiegandomi anche come fare il bonifico, dove inviarlo e qualcosa sulla partita IVA.

Faccio il tragitto al ritorno fortunatamente senza pioggia e a casa mi ficco subito dentro la vasca da bagno. Chiudo gli occhi e mi rilasso tra la schiuma della bath-bomb che ancora deve finire di esplodere. Questo genere di bagnoschiuma è tra quelli che preferisco: sono divertenti, colorati e davvero molto profumati.
È ciò che ci voleva, dopo la giornata che ho appena passato.

non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora