Capitolo 56. -J

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Quando l'ho vista passare davanti al piccolo ristorante dove lavoro, il mio cuore ha perso un battito. Ho pensato immediatamente che fosse lei, ma poi ho notato che non portava i tacchi, perciò ho scosso la testa sentendomi un imbecille. Dopo oltre due anni ho immaginato l'ennesima volta di vederla apparire davanti a me. Dovevo smetterla.

Ho ripreso a pulire il tavolo, dopo che una coppia americana in vacanza se n'era andata, mettendo i piatti nel vassoio che avevo sotto il braccio. Ho rialzato poi lo sguardo, curioso di constatare quanto quella ragazza le somigliasse. Aveva i capelli leggermente più corti dei suoi ed era leggermente più in carne. Ho posato gli occhi sulla sua amica e somigliava terribilmente alla sua amica d'accademia, mi pare che il nome iniziasse con la V... Ho smesso improvvisamente di sparecchiare il tavolo, mentre il mio cervello cercava con difficoltà di mettere insieme i pezzi. Perché se i miei occhi non mi ingannavano, ciò che vedevo poteva significare solo una cosa. Eppure era completamente incomprensibile e improbabile.
Ricordo di essere uscito fuori, guardandole mentre camminavano in fretta. La ragazza alta e rossa si è messa a correre cercando di raggiungere un tram che si stava avvicinando alla fermata. Quella più bassa ha urlato: "Aspetta! Non osare prendere quel tram senza di me!". Bene, lì non ho più avuto dubbi.

Preoccupato che riuscisse a prenderlo, mi sono messo a correre per raggiungerla e fortunatamente quando sono arrivato l'ho trovata che guardava il tram allontanarsi, scocciata e irritata. Si è poi seduta sulla panchina, tirando un grosso sospiro.

"Mel". Non mi ricordo nemmeno come l'ho detto e perché. Il suo nome è uscito dalle mie labbra prima che il mio cervello potesse inviare l'impulso per serrarle. Quando si è girata, ho pensato che la mia sveglia sarebbe suonata in quel momento e che tutto sarebbe finito. Ma così non è stato, lei continuava a fissarmi, sbigottita almeno quanto me.

Adesso sto qui, che la guardo incredulo, cercando di dare senso a cosa è appena successo, senza riuscirci. Mi sono avvicinato senza essermene reso conto. Forse voglio provare a toccarla, per provare che è davvero qui davanti a me, ma poi mi fermo rendendomi conto che sarebbe troppo strano.
"Ciao" mormora, confusa.

Sorrido appena, ancora troppo sorpreso per riuscire a fare altro. Quello che vorrei fare in realtà lo so e sarebbe stringerla tra le mie braccia ma non posso.
Non so niente di lei, adesso. Non so più chi è. Ma fortunatamente l'espressione dei suoi occhi non è poi così diversa a come la ricordavo. Solo un po' più matura. Più grande.

"Ti sei fatto crescere quella barba, eh?". Mi acciglio sorpreso, se possibile, ancora di più.

Mi tocco una guancia, distratto, mentre i peli ispidi si incastrano tra le mie dita.

"Beh, sì. Non ho più molto tempo per radermi".

"Ci vuole molto più tempo per curarla quando è lunga, però" mi fa notare, con un sorriso furbo.

"È vero" ammetto, con una piccola risata.

"Sembri davvero vecchio così" aggiunge, piegando la testa di lato.

La guardo nuovamente confuso. È davvero questa una delle prime cose che mi ha detto? "Va bene, allora la taglierò".

"Non ho detto questo" puntualizza, mentre si forma una piccola ruga tra le sue sopracciglia. "Solo che sembri vecchio, non che ti sta male. Vecchio e brutto sono due cose diverse".

"Interessante punto di vista" ridacchio.

"Grazie", e ride anche lei.

"Beh... Allora... Insomma...". Dimenticare come si parla? Un classico. "Sì, ecco... Come mai sei qui?".

non lasciarmi vincereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora