Capitolo 31: in ospedale

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Picchietto nervosamente i piedi per terra, tenendomi la testa fra le mani. I capelli, leggermente ondulati, ricadono verso il basso, sfiorandomi le guance. Li scosto di continuo, senza però riuscire a levarmeli di torno. Se avessi un paio di forbici a portata li taglierei via, peccato che me ne pentirei subito dopo. Non riesco a pensare a nulla, tranne al fatto che Hanna è stata appena investita da un auto, e che in questo momento si trova in terapia intensiva, dopo ben due ore di sala operatoria. La sola parola "operatoria" mi mette i brividi. Inizio a tamburellare le dita sulla sedia vuota accanto a me, provocando un ticchettio irregolare.

"Sofia, ti prego smettila" mi implora Emma, esasperata. È seduta nella fila di sedie di fronte a quella in cui sono seduta io, con le gambe accavallate, e i capelli arruffati.

"Scusa" bofonchio, ritraendo le mani. Le strofino un paio di volte sui jeans, prima di alzarmi in piedi di scatto. "Non ce la faccio più a restare ferma qui...mi sento inutile! Vado a fare un giro" annuncio, allontanandomi dai miei amici. Oltre ad Emma, seduta di fronte a me, ci sono anche Austin, accanto alla mora, con un braccio sulle sue spalle, come per tranquillizzarla, Will, in piedi, appoggiato ad una colonna, Sara, che si è addormentata addosso a Rhydian, un paio di sedie dopo la mia. Will ha chiamato anche loro, che si sono precipitati al parco, e insieme abbiamo preso un taxi. Gli unici che mancano all'appello sono Mike, che Emma ha chiamato mentre correvamo verso l'ospedale, a bordo di un auto gialla, e che probabilmente arriverà tra un paio d'ore, visto che si trovava già ad Albuquerque, in direzione Denver, la città in cui abita attualmente sua sorella, quando ha ricevuto la chiamata; e poi Nate. Gli ho mandato un messaggio verso le due, visto che fino a quell'ora ero così sotto shock da dimenticarmi di qualsiasi cosa. Poi, quando ci hanno annunciato che l'operazione era finita, qualcosa in me si è, come dire, sbloccato, così ho realizzato che dovevo ancora chiamarlo. E infine, Isaac, è l'unico che si trova nella minuscola sala d'attesa fuori la terapia intensiva. Noi abbiamo preferito rimanere nell'atrio, anche per evitare di occupare inutilmente i posti riservati ai parenti più stretti, che magari, stando seduti lì, credono di essere più vicini ai loro cari. Saremmo più o meno arrivati qui verso mezzanotte e mezza, a causa del tipico traffico da venerdì sera, e Hanna era già dentro da una mezz'oretta. I medici hanno detto che sarebbe stato un intervento lungo, e che se volevamo potevamo tornarcene a casa, ma nessuno di noi ha voluto abbandonare questo posto. Verso le due sono venuti ad annunciarci che l'intervento era finito e che ora l'avrebbero tenuta in osservazione in terapia intensiva, fino a quando non si sarebbe svegliata dal coma traumatologico. Così è dalle due e mezza, circa, che faccio avanti e indietro dalla hall alla sala d'attesa dove si trova mio fratello, per tenergli compagnia. Ora, però, ho solo voglia di prendere una boccata d'aria. Mi avvicino alla porta scorrevole, con la fotocellula che non appena si accorge della mia presenza, fa aprire le porte. Subito un'donata di aria fresca mi intorpidisce le viscere, mentre la tue luce del sole, che sta sorgendo, investe tutto il parco che circonda l'ospedale. Guardo l'orario sul cellulare: 05:02. Mi sistemo su un piccolo muretto di pietra, alto più o meno un paio di metri, cercando di rilassare un po' i muscoli. Mi passo una mano tra i capelli ribelli, sentendo il mal di testa aumentare ancora di più. Probabilmente, a causa della stanchezza, ma non me la sono proprio sentita di dormire. In più, circa un oretta fa, sono arrivati i poliziotti, che hanno iniziato a farci domande a raffica su tutto quello che è successo. Però una cosa me l'hanno promessa, hanno detto che troveranno il pirata che ha fatto questo alla mia adorabile cognatina. Chiudo gli occhi per alcuni minuti, sperando in questo modo di rilassare la mente, che sembra un groviglio di fili senza capo. Le immagini dell'incidente si ripetono nella mia testa non appena chiudo le palpebre, e di nuovo rivedo quell'immagine, di Hanna che viene sbalzata in aria e poi scaraventata per terra, le ferite, la gamba rotta, le urla, il sangue. Apro li occhi di scatto, portandomi una mano davanti alla bocca, cercando di reprimere un conato di vomito.

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