• Capitolo 2 •

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È una noia mortale qua dentro. Non smetterò mai di ripeterlo, ma se almeno fossi nella mia vecchia scuola, con i miei amici, avrei qualcuno per fare un po' di casino.
Qui, invece, non posso fare niente, nemmeno parlare con la mia vicina di banco visto che è tutta l'ora che sta attaccata al telefono a messaggiare.
Guardo l'orologio e, per fortuna, mi rendo conto che mancano solo dieci minuti al suono della campanella.

<< Ginoble, hai sentito quello che ti ho detto? >> sentendo pronunciare il mio nome, mi scanto e mi giro verso la prof rivolgendole il mio sguardo confuso; << Caro ragazzo, capisco che è il primo giorno e per te può essere difficile perchè è tutto nuovo e devi ambientarti, però protesti ascoltarmi? >> noto tutti gli occhi dei miei compagni puntati addosso e subito mi sento in imbarazzo, vorrei scavarmi una buca e sotterrarmi.

<< Si, mi scusi. Potrebbe ripetere quello che ha detto? >> annuisce, nascondendo un sorriso.

<< Sentiti con qualche tuo compagno per metterti a pari con il programma di queste prime tre settimane >> sorrido per acconsentire e incrocio lo sguardo di Sara che con un cenno e un sorriso mi fa capire che mi aiuterà.

*
Finalmente il primo giorno in questo inferno è finito. Andare a scuola, in fondo, non mi è mai dispiaciuto poi così tanto; adoro imparare, sono curioso e scoprire cose nuove mi fa sentire, come dire, intelligente; ma questa scuola smonta tutto quello che mi piacerebbe fare, a partire dall'aprire un libro per imparare. Metto lo zaino sulle spalle e con lo sguardo basso mi avvio all'uscita fino a che qualcuno non mi prende a braccetto.

<< Ciao Sara... >> questa ragazza è davvero particolare; ho notato che é sempre sorridente, estroversa e con tanta voglia di divertirsi, di fare. Ha gli occhi che brillano, quasi di felicità; sono come attraversati da una luce speciale. E' il completo contrario di Beatrice.

<< Vieni, ti presento gli altri del gruppo >> mi fermo e le dico di no con la testa; non mi va moltissimo.

<< Io in realtà dovrei. . . andare a casa >> provo a dire per sottrarmi da questa cosa.

<< Oh dai, ci vorrà pochissimo >> annuisco un po' incerto e la seguo dalle scale di emergenza; << Allora lei è Alice >> mi indica una ragazza alta, corporatura magra ma non esile con lunghi capelli neri e lisci; << Lui é Piero >> dice indicando un ragazzo dagli occhiali rossi; << E lui è Ignazio >> disse infine mostrandomi un ragazzo alto con il pizzetto. Faccio un cenno con la mano e una strana morfia, arricciando la bocca, per salutarli.

<< Mi aspettate che fumo? >> chiede Alice tirando fuori il pacchetto di sigaretta dalla tasca della giacca. Tutti annuiscono e iniziano a parlare tra di loro.

Spengo completamente il cervello, infilo le mani in tasca della giacca e mi vado a sedere sul terzo gradino accanto alla ragazza. Inizio a guardarmi in giro, a vagare con lo sguardo tra le varie persone che popolano quest'istituto, fino a che, non vedo Beatrice; davanti a me come traiettoria di visuale, a pochi metri di distanza in tutta la sua sensualità e femminilità. Non sono ancora riuscito a decifrare il suo comportamento, ma da quello che ho capito è estremamente acida. Fa ondeggiare i suoi lunghi capelli castano ramato e si gira verso me. Sussulto quando mi rendo conto che sta parlando con altre due ragazze e mi indica. Scrollo la testa e sposto lo sguardo sulle mie scarpe che faccio finta di allacciare.

<< Bella Beatrice, vero? >> alzo la testa essendo seduto e guardo Piero con aria interrogativa.

<< Come scusa? >> chiedo facendo finta di non capire sperando che anche lui non abbia visto quello che ho visto io.

<< Stavi fissando la tua compagna di banco e lei ti ha indicato >> lo guardo come se fosse pazzo e lui annuisce chiudendo gli occhi per far risaltare il fatto di aver ragione. Colto in fallo.

<< Beh si, è una bella ragazza, misteriosa, intrigante...>> dico non sapendo bene come descriverla.

<< Gianluca... >> mi interrompe e mi riprendo dal pensiero di Beatrice; << Se posso darti un consiglio: lasciala perdere. È una che si crede chi sa chi, gioca con le persone. È una di quelle da una notte e basta. Promette tanto, è brava a farti credere quello che vuole lei >> lo guardo un po' incredulo; << Io ci sono passato >> sposta lo sguardo altrove e io decido di non chiedergli niente notando che ricorda l'accaduto con dolore, quasi con disprezzo.

<< Andiamo? >> propone Sara vedendo che la sua amica ha finito di fumare; senza proferire parola mi alzo, iniziamo a camminare e ci avviamo alla fermata del bus per andare ognuno a casa propria; << Gian, sai quale linea devi prendere? >> mi chiede, forse, per rompere un po' l'atmosfera pesante che si era creata tra di noi.

<< Si, la 98 >> affermo controllando sul telefono.

<< Sei con me allora >> menomale mi sento quasi sollevato. Vediamo il muso del bus venire verso di noi. Salutiamo gli altri e saliamo. Non é molto pieno a quest'ora, ma scorgo, comunque, solamente un posto libero e lo vado ad occupare. Sara si piazza accanto a me mollando la cartella per terra.

<< Vieni qua >> dico picchiettando la mano sulle mie cosce. Il suo sguardo è esterrefatto, allora io, ridacchiando, la prendo per il polso e la faccio sedere sulle mie gambe.

<< Guarda che peso >> le faccio segno di far silenzio. Porta lo sguardo fuori dal finestrino perdendosi nei suoi pensieri; appoggio la fronte sulla sua spalla e rimaniamo così, in silenzio, fino a che non arriva il nostro turno per scendere. Non so bene perché io l'abbia fatto, ma é stato spontaneo, naturale.

Amabilmente odiosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora