• Capitolo 35 •

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Esco da casa di Sara e mi avvio alla mia abitazione. Sono quasi le 8 di sera e non ho detto a nessuno dove sarei stato e quando sarei tornato. Accendo il telefono credendo di trovare chiamate perse dai miei genitori e invece niente, solo qualche messaggio chilometrico da Beatrice che ora non ho voglia di leggere.
Metto il telefono in tasca e tiro fuori le chiavi per aprire il portone di casa. Sento delle urla e posso già immaginare chi sono; ecco perchè non ho trovato loro chiamate: erano impegnati a fare altro.

Sento mia madre urlare e parlare a macchinetta, ma non distinguo bene le sue parole. La sua voce mi rimbomba nelle orecchie e una strana sensazione si fa spazio nel mio petto. Fa male, molto, tutto questo. Mi accosto alla porta del salotto e vedo mio padre seduto sul divano con la testa fra le mani, mentre mia madre è in piedi davanti a lui che sbraita. Ad un tratto mio padre scatta in piedi e urla anche lui.

<< Mi sono stancato di te, Eleonora. Non ne puoi più? Bene prenditi Gianluca ed Ernesto e vattene, andatevene da qua. Ritornateve a Roseto se quello che faccio non ti va bene >> sbarro gli occhi a questa affermazione. Mio padre mette le mani in tasca dei pantaloni e si avvia alla finestra, ponendo lo sguardo fuori chissà dove.

<< Ok perfetto, ci organizzeremo... >> risponde mia madre in un sussurro.

<< Vedi che non capisci niente? >> urla mentre gesticola; << Sei egoista Eleonora. Ma ci pensi ai ragazzi? Ma ci pensi a Gianluca? È stato difficilissimo fargli iniziare, così di punto in bianco, una nuova scuola; e ora tu a metà anno pretendi di portartelo su? Ma lo sai che fatica? >>

<< Bene vorrà dire che aspetteremo ancora questi quattro o cinque mesi di fine anno e poi ce ne andremo. Non diciamogli niente però, non deve essere condizionato da tutto questo >>

<< Perfetto, come sempre decidi tu per tutti. Ti faccio i miei più sinceri complimenti. Mi dispiace tantissimo per tutto questo. Sai bene quanto ti amo, ma evidentemente per te non è la stessa cosa e quello che faccio forse è poco >> mia madre rimane immobile, con lo sguardo verso il pavimento mentre con le dita gioca con le sua labbra. Mio padre si avvia all'appendiabiti, prende la giacca, la infila. Mi passa accanto e si blocca di scatto guardandomi; molto probabilmente si starà chiedendo da quanto tempo io mi trovavo lì: abbastanza per capire tutto. Lo guardo con occhi lucidi, pieni di lacrime. Scrollo la testa, abbasso lo sguardo e mi avvio in camera mia.

<< Gianluca aspetta... >> aspetta niente, non mi volto e mi chiudo in camera. Poco dopo sento la porta sbattere segno che mio padre è uscito: alla fine nemmeno a lui importava più di tanto parlare con me.

Non so nemmeno io cosa preferirei in questo momento. Se rimanere qua oppure dire a mia madre che possiamo tornarcene anche subito in Abruzzo. Qua ho pochi amici e non ho più nemmeno la ragazza, niente mi trattiene in questo posto che fin da subito ho considerato un inferno. Forse un po' è colpa mia; non mi sono mai impegato nel vedere la parte bella. C'è anche da dire che se tornassimo a casa nostra sarebbe meglio; dimenticherei tutto e tutti, chiuderei quello che ho vissuto qua in un cassetto e penserei che è stato semplicemente un incubo che non ho vissuto veramente.
Ma come posso dimenticare cinque mesi della mia vita dove ne sono successe di tutti i colori?
E perchè sto pensando a cosa preferirei io? In fin dei conti nessuno me lo ha chiesto e mai lo farà.

Mi butto a peso morto sul letto, infilo le cuffiette e faccio partire a palla la musica, ho bisogno di farmi portare via da questa realtà almeno per un po'.

Amabilmente odiosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora