• Capitolo 4 •

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Come ogni mattina mi alzo per andare a scuola, ma purtroppo stamattina il progetto non è quello. Ci ho riflettuto molto questa notte e ho preso la mia decisione. Devo farlo, ne sento il bisogno, non ho più nulla da perdere.
La situazione di ieri con Beatrice mi ha convinto ancora di più a buttarmi in questa avventura. Mi vesto velocemente, sistemo il ciuffo, infilo i miei occhiali dell'Adidas con le lenti a specchio azzurre e, con la cartella sulle spalle, mi avvio in salotto.

<< Io vado. Ciao a tutti >> sento mia madre rispondermi dalla cucina con un "ciao tesoro, ci vediamo dopo". Ma quel dopo non ci sarà, se solo sapesse cosa sto per combinare. Mi avvio fuori casa, ma invece di prendere l'autobus per scuola, prendo quello che mi porta in centro. Mi sento quasi un ladro che fugge; sarò pure un vigliacco ma io certe situazioni non so gestirle e scappo.
Arrivo in centro e mi dirigo verso la stazione.
Mi sono organizzato bene questa notte. Guardo il mio orologio e sono le 7:50, controllo il display e noto che tra dieci minuti arriva l'intercity che in circa un'ora e mezza mi porterà a Roseto. Sono quasi emozionato all'idea di tornarci.
Mi siedo al mio posto, infilo le cuffiette e faccio partire la playlist mentre il paesaggio mi scorre davanti.

*
<< Siamo in arrivo a Roseto degli Abruzzi >> la voce metallica e a tutto volume dell'altoparlante mi risveglia. Sposto lo sguardo fuori dal finestrino e riconosco subito il mio lungomare, la mia spiaggia e questa stazione, che mai come in questo momento, ho amato. Sono incredulo, non posso essere di nuovo qua; una lacrime di gioia bagna la mia guancia e io la lascio scorrere. Prendo lo zaino, le porte si aprono e io rimetto piede sulla mia terra. Sono felice come un bambino a Natale. Vorrei fare cosi tante cose.
Mi dirigo verso il mio stabilimento balneare per la stagione estiva, saluto i proprietari che gestiscono il bar aperto tutto l'anno e mi avvicino al bagnoasciuga. Guardo con stupore la sabbia, il cielo che si confonde con il mare e poi, finalmente mi giro, e alle mie spalle appare la mia collina, quella con il mio paesello, Montepagano.
Mi siedo per terra e quasi scoppio a piangere per l'emozione di essere qua.
Faccio passare ancora un po' il tempo, poi riprendo lo zaino e mi avvio alla mia vecchia scuola ad aspettare Alessio e Marco.
Ed ecco, dopo qualche minuto, che tra la massa di gente riconosco le due teste ricciolute dei miei amici. Mi metto in un angolo appartato e poi li raggiungo da dietro, circondando ad entrambi il collo. Si girano, sgranano gli occhi, sorridono e senza dire niente mi abbracciano.

<< Gian... non è un sogno vero? >> mi chiede Marco, scrollo la testa in segno di negazione con gli occhi lucidi.

<< Minchia Gianlù, che bellissima sorpresa. Cosa ci fai qua? >>

<< Sono scappato. Nessuno sa che sono qua, io non voglio più stare in quel posto; è un inferno. In pochi giorni ho gia una catasta di problemi che per di più non so gestire >> mi guardano preoccupati e io inizio a raccontare loro tutto, partendo dalla classe, ad arrivare a quello che è successo ieri con Beatrice. Non dicono niente, forse per non tirare più fuori il discorso di circa tre anni fa.
Una sera, dopo una festa, sono stato a letto con una ragazza contro la mia volontà; era più grande di me e io ho donato il mio corpo ad una perfetta sconosciuta, la mia prima volta è stata orrenda. Io non voglio approfittare di nessuna, non è in questo modo che ci si diverte.

E finalmente sto di nuovo bene, passiamo il pomeriggio a giocare a calcio al nostro campetto, con altri amici, con il sottofondo delle nostre risate, con il sole che fa allungare le nostre ombre sull'asfalto.
Ormai stanchi e con il fiatone corto ci andiamo a sedere a bordo campo; prendo il telefono tra le mani e noto tre chiamate perse da mamma, due da mio padre e due da mio fratello Ernesto e tantissimi messaggi.
Solo ora mi sono reso conto della grandissima cavolata che ho fatto, saranno preoccupati per me e deve essere orribile stare in pensiero per qualcuno.
Mentre sto per riporre il cellulare nello zaino mi arriva una chiamata da Sara.

"Pronto?" rispondo al telefono titubante

"Ma si può sapere dove cazzo sei finito?" ha la voce dura ma allo stesso tempo preoccuopata.

" Io... io sono a Roseto" non sento risposta e questo mi preoccupa: "Sara?"

"Sei un coglione lo sai? Sono venuta a casa tua per vedere come stavi visto che non rispondevi, ma quando i tuoi mi hanno detto che non sapevano dove fossi finito mi è preso un colpo. Sarà meglio che ora dica ai tuoi dove sei, erano molto in pensiero per te, poveri! " mi sento terribilmente in colpa...

"Io sto bene. Non preoccupatevi" la sento sospirare.

"Ho avuto paura. Molta. Pensavo ti fosse successo qualcosa". Sorrido a questa cosa, non so nemmeno io perchè. La saluto e poi chiamo mio padre.

Dire che era incazzato è poco, ma giustamente. Lo capisco. Però ne è valsa la pena, nonostante il senso di colpa sto bene; sto bene con me stesso perchè sono a casa mia, con i miei amici, il mio pallone, il mio lungomare... qua ho tutto.

Prendo l'asciugamano e mi corico sul prato verde e morbido del campetto, con le braccia dietro alla testa a chiacchierare con i miei amici, aspettando l'arrivo di mio padre per tornare a Velletri.

Amabilmente odiosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora