• Capitolo 42 •

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<< Gianluca cos'è che stai facendo? >> mi dice mia mamma facendomi prendere uno spavento visto che è piombata in camera mia da un momento all'altro. Prendo ancora due magliette dall'armadio e li ripongo dentro al borsone da sport.

<< Ho sentito Ignazio, giù a Velletri. Hanno ricoverato Beatrice e sta molto male. Devo andare da lei mamma. Ne ha bisogno lei e ne ho bisogno io >> annuisce leggermente e mi viene ad abbracciare.

<< Quando parti? >>

<< Adesso. Ho l'intercity tra un'oretta più o meno. Ho già sentito papà e ovviamente starò da lui >> mia mamma abbassa leggermente la testa e l'abbraccio ridendo appena; << Mamma stai tranquilla. Ritornerò qua, laggiù non voglio più starci >>

<< Dai vai. Hai un bus tra dieci minuti che ti porta giù a Roseto >> mi informa guardando l'orologio per  poi scompigliarmi leggermente i capelli. Le fermo la mano dolcemente per evitare che mi rovini ulteriormente il ciuffo e le lascio un bacio sulla guancia.

<< Ciao mà. Appena arrivo ti chiamo. Tu salutami Ern, mi raccomando >> faccio ancora un cenno con la mano e poi esco di casa. Mi avvio sulla piazza a pochi metri da casa mia e dopo alcuni minuti arriva l'autobus che da Montepagano mi porta fino alla Stazione di Roseto.

Ammetto che è strano essere di nuovo in questo posto, ma questa volta sono tranquillo perchè so che ad ogni modo qua ci ritornerò. L'unico problema che mi preme in questo momento è Beatrice; qualsiasi cosa le accadrà io mi sentirei responsabile. In fondo Ignazio mi ha detto che da quando ci siamo lasciati e sono andato via, lei non si è più ripresa, quindi ne sono responsabile. Ora però non so come gestire la situazione e tantomeno come comportarmi.

Le mie paranoie vengono interrotte dallo speaker che annuncia l'arrivo del mio treno sul binario due. Tirò fuori il biglietto e leggo: "carrozza 5, posto 12"
Arriva il treno, salgo e inizio a camminare tra gli scompartimenti fini a che non trovò il mio posto dove mi siedo. Metto le cuffiette e faccio partire la musica; ora devo solo aspettare che questo treno arrivi destinazione. È la prima volta che non vedo l'ora di arrivare a Velletri.

Per fortuna qualche ora dopo arrivo nel posto tanto atteso. Scendo velocemente e mi dirigo fuori dalla stazione dove ad aspettarmi c'é mio padre. Gli corro incontro e lo abbraccio mollando il borsone per terra.

<< Ciao Gianlù. Allora come va? >> mi chiede mettendomi una mano sulla spalla.

<< Sono preoccupatissimo per Bea, papà >> mi scruta con faccia comprensiva e mi fa segno di salire in macchina.

<< Vuoi andarci ora in ospedale? >>

<< Si per favore. Ti lascio il mio borsone, poi torno a casa o con la 98 o con Igna >>

<< A casa c'è rimasto ancora il motorino. Devo farlo portare su a Roseto? >> mi chiede forse per cambiare un po' discorso.

<< Dici che sono in grado di andarci? Quella caduta è stata... un trauma. Sarò in grado di superarlo? >>

<< Ti aiuto io. Mamma come sta? >>

<< Abbastanza bene. Non vediamo l'ora che tu torni a casa >> mi lancia una veloce occhiata sorridendomi. Arriviamo davanti all'ospedale; mi tolgo velocemente la cintura e apro la portiera.

<< Mi raccomando. Andrà tutto bene >> annuisco poco fiducioso ed entro nell'edificio.

Chiedo al banco informazioni riguardo il ricovero di Beatrice e mi avvio al terzo piano. Nel lungo corridoio, scruto immediatamente Ignazio.

<< Igna...>> alza lo sguardo e, alla mia vista, la sua espressione cambia da stanca e preoccupata a sorpresa e quasi sollevata.

<< Oddio Gianlù, che bello che sei qua >> mi abbraccia lasciandomi qualche pacca sulla schiena.

<< Lei dov'è? Come sta? >> scrolla la testa sconsolato.

<< É da mezz'ora che c'è dentro il medico. Quello di stamattina quando ci siamo sentiti non mi ha detto molto >> arriccio le labbra e annuisco, mentre infilo le mani nelle tasche dei jeans.
Ho bisogno di vederla, dirle che andrà tutto bene, chiederle se mi perdona e dirle che la amo. Non ho mai smesso di farlo e forse mai smetterò.

La porta alle mie spalle si apre e due dottori escono dalla stanza di Beatrice.

<< I parenti della ragazza? >> io e Ignazio ci avviciniamo.

<< Sono il cugino e lui è... >>

<< Io il suo ragazzo- intervengo interrompendo il mio amico.

<< Mia zia, cioe la madre della ragazza arriverà a breve. Intanto può dirci qualcosa? >>

<< Per fortuna le ferite non erano troppo in profondità e l'emorragia non era grave. Siamo riusciti ad interromperla facilmente. La ragazza tutto sommato sta bene. Ha la flebo che l'aiuta a ristabilizzare tutti i parametri. L'abbiamo sedata per aiutarla a riposare un po'>>

<< Grazie dottore. Possiamo entrare? >> il dottore annuisce ed entriamo nella stanza. A vederla così mi si stringe il petto; e pensare che la maggior parte della colpa è mia.

<< Non pensavo di voler così tanto bene a mia cugina. L'ho sempre disprezzata per il suo tenore di vita e anche odiata per aver fatto soffrire la nostra famiglia. Più che altro la colpa è di mia zia, o forse di suo padre che era un alcolizzato. Non so più dare una spiegazione a nulla, so solo che ho paura >>

<< Andrà tutto bene, ne sono certo. È una ragazza forte >> mi sorride appena e io mi avvicino a lei. Le accarezzo la fronte e poi le lascio un bacio.

<< Ehi non giocare brutti scherzi, piccola. Ti amo >>

Amabilmente odiosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora