5 - Il mio vicino

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La passeggiata mattutina con Abel fu così gradevole che passò fin troppo in fretta. Tornammo verso casa quando il sole era già alto, ma le sorprese di quella mattina non erano ancora finite. Appena prima di rientrare, incontrai per caso il mio vicino, proprio davanti al suo cancello.

Il cuore iniziò a battermi più velocemente non appena riconobbi la sua sagoma ordinata ed elegante.

«Ciao, Sarah». Aveva il suo solito bellissimo sorriso tranquillo. «Oggi non sei andata a scuola?».

Uhm, in effetti era ancora presto per essere tornata dalle lezioni. «Già, ehm... stamattina non ho sentito la sveglia».

«E che facevi in giro da sola?». Da sola... Già. Era impressionante pensare che David non vedesse Abel lì accanto a me.

«Soltanto una passeggiata» inventai a testa bassa. Odiavo mentirgli.

«Non sei molto convincente, attenta a non farlo insospettire».

Stavolta era Abel. Feci fatica a non fare nulla che potesse tradire il mio fastidio. Non ero convincente? Avrei voluto vedere lui, al mio posto.

«Che ne dici di venire a casa mia per un po'?» mi distrasse David. «Da quando sono tornato non siamo ancora riusciti a parlare con calma».

Mi irrigidii non appena immaginai lui e me insieme in un'atmosfera tanto confidenziale, cosa che ormai non accadeva da mesi. Non ero sicura di volerlo davvero, sarebbe stato molto imbarazzante e in più avrei rischiato di far insospettire David su qualunque cosa riguardasse Abel... ma era da tanto che non passavo del tempo con lui e non riuscii proprio a resistere. Accettai con un sorriso incerto, lanciando uno sguardo fugace verso Abel in cerca di sostegno.

«Non preoccuparti, andrà tutto bene» intuì lui.

Sfiorò le mie spalle con delicatezza, facendomi sentire subito meglio. Avrei voluto poterlo ringraziare...

La casa di David aveva uno stile particolare, molto sobrio. La struttura principale era uguale alla mia, ma lui viveva da solo, per cui la camera da letto di mio padre era occupata da una grande cucina abitabile. Sulle pareti della casa non c'erano né quadri né oggetti di alcun genere, solo alcune piante e delle mensole gremite di libri.

David mi stava dando le spalle per farmi strada, così ne approfittai per osservarlo. Era diventato ancora più alto di prima, aveva una camicia beige a maniche lunghe e i pantaloni di una tonalità simile ma più scura, sempre in quello stile da lavoro un po' formale che gli stava benissimo. In confronto a lui, io mi sentivo un'insulsa ragazzina.

«Puoi sederti» mi distrasse dai miei pensieri. Sembrava divertito da quel mio restare imbambolata di cui non mi ero nemmeno accorta.

Mentre parlava si stava sedendo sul primo dei due divani e io lo imitai, appoggiandomi rigidamente al secondo. Mi aspettavo che Abel mi avrebbe seguita, invece rimase nell'ingresso come per farsi da parte.

«Vuoi un caffè?».

Cercai di sorridere. «Ehm, sì. Grazie».

Vista la mia agitazione non avevo affatto voglia di caffè o di qualunque altra cosa contenesse caffeina, ma volevo parlare con Abel e per farlo dovevo allontanare David con una scusa. Così, non appena fui sicura che non mi avrebbe sentita, bisbigliai verso il mio angelo.

«Perché stai in disparte? Dai, vieni qui».

Mi guardò con un'espressione confusa. «Non preferisci che vi lasci soli? Stavo pensando di andarmene».

«No!» mi lasciai scappare a voce alta. «Per favore, resta qui, altrimenti non riuscirò a calmarmi».

Nonostante le mie parole non lo convincessero, Abel mi raggiunse per fermarsi dietro al divano, in modo da starmi vicino senza che David potesse notare nulla di strano. La sua vicinanza mi calmò subito, per fortuna, perché dopo avermi offerto caffè e biscotti, David fece un lungo sospiro e mi disse... di aver saputo della morte di mio padre.

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