41. Renesmee

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Erano passati quasi due mesi dalla gita a New York e in quel arco di tempo Renesmee aveva continuato a crescere, sorprendendoci e stupendoci allo stesso tempo.
Dopo che ero tornata dalla gita i miei familiari mi dissero che la bambina, a circa una settimana di vita, aveva detto la sua prima parola. Mamma. Inoltre, non aveva detto una semplice parola, ma una vera e propria frase: "Mamma, dov'è il nonno?".
Assistemmo ad una situazione analoga che si verificò nemmeno tre settimane più tardi, quando mosse i suoi primi passi: dopo aver fissato a lungo Alice, che volteggiava qua e là con le braccia cariche di fiori da distribuire fra i vasi disseminati per la stanza, si alzò in piedi senza nemmeno vacillare e attraversò il locale con grazia di poco inferiore a quella della zia. Jacob scoppiò in un applauso, ovviamente per assecondare le aspettative di Renesmee. Il legame che lo univa a lei lo induceva a mettere in secondo piano i propri impulsi personali; il suo primo istinto era sempre di dare alla bambina ciò di cui aveva bisogno. Però i suoi occhi e quelli di Bella si incrociarono e vidi in entrambi il panico inespresso. Anche Edward e Bella, seduti vicini, inziarono ad applaudire piano cercando di non mostrare la loro paura.
Edward e Carlisle cominciarono a fare ricerche a tappeto nella speranza di trovare una risposta, un qualunque dato che consentisse di fare una previsione. In giro c'era poco e niente di verificabile.
In generale Alice e Rosalie aprivano la nostra giornata -o meglio dire quella dei vampiri, considerando che io ero a scuola- con una sfilata di moda. Renesmee non indossava mai due volte lo stesso vestito, in parte perché le andavano subito tutti troppo piccoli e in parte perché Alice e Rosalie stavano cercando di creare un album fotografico che sembrasse coprire anni invece che settimane.
A tre mesi Renesmee poteva passare per una bambina di un anno molto cresciuta, o per una di due un po' piccola. Non aveva la struttura fisica tipica della prima infanzia, perché era più sottile ed aggraziato, con proporzioni simili a quelle di un adulto. I riccioli color del bronzo le arrivavano alla vita. Articolava alla perfezione ogni parola e parlava con assoluta proprietà di linguaggio, ma si dava raramente la pena di aprir bocca: preferiva mostrare ciò che voleva. Oltre che camminare sapeva anche correre e ballare. Ed era persino in grado di leggere.
Io e Renesmee iniziammo a fare molta amicizia e spesso la bambina mi chiedeva di rimanere con lei la sera, finché non si fosse addormentata. Di solito rimanevo in forma di lupo per poter rimanere ai piedi del letto per non creare fastidio e appena Nessie si addormentava, me ne andavo.
Una sera Bella le stava leggendo Tennyson, perché le pareva che il ritmo e l'andamento della sua poesia avessero un effetto rilassante su di lei. Inoltre, Renesmee non apprezzava sentirsi raccontare sempre le stesse storie e non aveva pazienza per i libri illustrati. La bambina allungò una mano e toccò la guancia di Bella; lessi nel suo pensiero ciò che voleva. Era un'immagine di noi tre, solo che nella sua testa era lei a tenere il libro. Bella glielo cedette sorridendo.
«Musica dolce qui più lene cade» iniziò a leggere Nessie senza esitazione «Che non sull'erba petali di rose o, in uno stretto, su silenziose acque, fra rocce, a notte, le rugiade...».
Bella le tolse il libro di mano e mi lanciò una veloce occhiata inquieta. «Come fai ad addormentarti se leggi?» chiese a Renesmee.
Secondo i calcoli di Carlisle, il ritmo di crescita del suo corpo stava rallentando gradualmente, ma la sua intelligenza, a quanto pareva, continuava la corsa. E se anche il rallentamento fosse proseguito a quel ritmo, nel giro di quattro anni al massimo sarebbe stata adulta.
Quattro anni. E a quindici sarebbe stata una donna anziana. Mi venne un groppo in gola; solo quindici anni di vita.
Eppure scoppiava di salute. Era sveglia, vivace, radiosa e felice. Di fronte al suo evidente benessere, era facile godere il momento e lasciare il domani al futuro.
Edward e Carlisle discutevano le possibili alternative future in uno scambio di sussurri che spesso Bella cercava di non ascoltare, ma non ne parlavano mai in presenza di Jacob. Infatti, Jake non sarebbe stato entusiasta dell'unico modo sicuro che conoscevano per arrestare l'invecchiamento. Nemmeno a me e Bella piaceva quell'idea. Entrambe la trovavamo troppo pericolosa. Jacob e Renesmee avevano troppe cose in comune, erano entrambi esseri ibridi, a metà fra due mondi. E il veleno dei vampiri era fatale per noi licantropi; non osavo pensare che cosa sarebbe potuto accadere a Renesmee.
Esaurite le possibilità di ricerca da casa, Edward e Carlisle si stavano preparando a risalire direttamente alla fonte delle antiche leggende. Dovevano tornare in Brasile e ricominciare da lì. Nei miti degli indios Ticuna si parlava di bambini come Renesmee... Se erano già esistiti altri piccoli semi-immortali come lei, forse era possibile sapere qualcosa di più sul loro arco di vita.
Restava solo da stabilire quando sarebbero partiti.
L'incognita era Bella. In parte perché voleva rimanere a Forks fino a dopo le feste, per Charlie, ma soprattutto perché doveva compiere un altro viaggio di maggior priorità. E doveva farlo da sola.
Era stato l'unico motivo di attrito fra Edward e Bella da quando lei era diventata una vampira. E il contenzioso riguardava principalmente il "da sola". Ma la realtà era quella e Bella doveva presentarsi da sola dai Volturi.
Fino al giorno in cui arrivò il regalo di Aro, Bella non sapeva che Alice avesse inviato ai Volturi un invito al loro matrimonio. Quel giorno, io avevo anche scoperto il perché di quel invito: Alice aveva avuto una visione e aveva visto Caius che mandava un gruppetto di vampiri -composto da Jane, Alec, Felix e Demetri più altri che non conoscevo- a vedere se Bella era ancora umana e, in quel caso, di uccidere lei e noi. Perciò Alice aveva spedito la partecipazione, conscia che avrebbero perso tempo ad interpretarne il significato. Prima o poi, però, sarebbero venuti. Poco ma sicuro.
Il regalo di per sé non era un'aperta minaccia. In un certo senso, era spaventoso per la sua stravaganza, ma la parte più minacciosa era nell'ultima frase del biglietto che Aro aveva scritto di proprio pugno, in inchiostro nero, su di un biglietto di cartoncino bianco:

I Cullen e i Quileutes 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora