•Casa•

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"Maledetta parrucca!" sibilo, cercando di sistemare le ciocche platino

"Dai! Non sei poi così male bionda!" ridacchia il mio amico dalla parte opposta dell'auricolare

"Jer ti ricordo che hai una ragazza..." lo riprendo, mentre mi avvio all'entrata del rabbit

Come la scorsa volta Duke, il bodyguard del locale, mi attende alle porte.

"Buonasera dolcezza! Come andiamo? Ho saputo del tuo infortunio!" mi saluta, facendomi strada verso i camerini come al solito

Anche se ho visto Duke si e no due volte da quando frequento questo posto, ho imparato a distinguere le persone dal loro aspetto, e il buttafuori del rabbit in fondo ha un cuore tenero.

"Già...ma ora sono di nuovo qui!" gli strizzo un occhiolino veloce, per poi chiudermi nel camerino

Mentre mi infilo la maschera nera per nascondere il mio viso, il pensiero che ho tentato di cancellare per tutta questa serata si fa strada nella mia mente.

Adam.

Farò in modo che non sappia di tutto questo.
Voglio solo incastrare una volta per tutte i pezzenti che hanno distrutto tutta la mia vita e cancellare definitivamente il mio passato.
Non ho bisogno dell'ennesima vittima. Meno ne saprà, meglio andranno le cose.

"Sei silenziosa stasera..." la voce di Jer mi arriva alle orecchie

"Va tutto bene!" mento

"Ho capito! Ne parliamo dopo..." sbuffa il mio amico

Esco dal camerino, affiancando Duke.

"Chi abbiamo oggi?" chiedo

"Il signor Kenner! Mi raccomando trattalo bene, il capo ci tiene a questo 'cliente'."

Annuisco e metto in atto il mio piano.
Ancheggiando, passo al fianco della mia preda che non esita ad abboccare.

"Ehi bella! Che ne dici di farmi compagnia?!" biascica con una nota di malizia

Dagli occhi arrossati e dall'odore di alcool che emana appena mi trascina sulle sue gambe, capisco che il sergente è già ubriaco.
Sarà più facile del previsto!

In pochi minuti sono in una delle stanze.
Kenner steso sul letto mentre si fa un pisolino, l'ennesima prova che mi avvicina ad incastrare i colpevoli, e un enorme e opprimente senso di colpa verso il ragazzo dagli occhi neri.

Esco fuori dal locale dopo aver salutato Duke e salgo sul suv nero di Jer.
Non dice nulla, semplicemente accende il motore e sgomma via.
Lentamente mi tolgo il mio travestimento, ritornando la Avril di qualche ora prima.
Scavalco, portandomi nei sedili posteriori e, dopo essermi liberata del fastidioso tubino nero, mi infilo un paio di jeans e una maglietta.

"Jer..." lo richiamo

"Mh?" sbuffa, guardandomi dallo specchietto retrovisore

So cosa sta facendo. Se la sta prendendo perché non gli dico le cose, ma sa bene che sono fatta così.

"Io...potresti portarmi in ospedale?" sussurro

È da tanto che non vedo mia madre. Non ne ho il coraggio, è passato quasi un mese dall'ultima volta che l'ho vista e l'immagine del suo volto bianco e scarno mi si è impressa come un marchio nella mente.
So che dovrei tenermi stretti i miei ultimi giorni con lei, ma ho una paura tremenda.
Stavolta però il bisogno del mio punto di riferimento prevale sugli altri sentimenti.

Annuisce e pochi minuti dopo siamo parcheggiati a pochi passi dalla mia mamma. Jer spegne il motore e poggia la testa contro il sedile, continuando a guardare dritto davanti a noi.

"Mi dispiace Jer..." sussurro

"E per cosa?!" sbuffa

"Perché come amica faccio schifo..."

Inizia a ridere come un idiota, mentre la mia faccia si contrae in un cipiglio.
Sta delirando.
Si volta verso di me, incastrando i suoi occhi cioccolato nei miei.

"Avril! Sei la migliore amica che si possa desiderare. A volte magari sei un po' chiusa in te stessa e finisci per isolarmi, ma non c'è stata una volta in cui tu non ti sia tirata indietro per aiutarmi! Ci siamo sempre sostenuti e insomma, i segreti sono compresi nel pacchetto Avril!" ridacchia

Mi unisco anch'io e lo stringo in un abbraccio. Uno dei nostri, uno che sa di casa e di fraterno.

"Ora vai da lei!"

***

Uno degli odori inconfondibili per un posto è di sicuro quello degli ospedali.
Non c'è altro posto dove la puzza di disinfettante si mescola a quella di vecchio, polvere e soprattutto tristezza.

Percorro il solito corridoio bianco e spoglio.
Una coppia è seduta sulle scomode sedie metalliche del corridoio. Lui la stringe in un abbraccio, mentre lei, agrappata in un segno disperato alla sua felpa, fissa in lacrime la porta chiusa davanti a loro.
È esattamente questo il motivo per cui non vengo qui spesso. Il costante senso di morte e solitudine.

Percorro un'altro tratto di desolazione, fino a fermarmi davanti la sua stanza e sentire il mio cuore bloccarsi di colpo.
Non c'è...

"Mamma?" sussurro flebilmente

E lentamente si fa spazio in me la consapevolezza che forse sono arrivata troppo tardi, che ho sprecato il poco tempo che mi restava con lei a fare cazzate.

Una donna con un camicie bianco mi passa accanto, lanciando un'occhiata al mio sguardo smarrito.

"S-scusi...dov'è Rose Callaghan?" la blocco per un braccio

"Lei è?"

"Sua figlia!"

La donna sembra pensarci un attimo, per poi rispondermi.

"È stata trasferita in terapia intensiva! Ci sono stati dei peggioramenti..."

Annuisco, indietreggiando verso il muro e appoggiandomici.
Ok Avril! Respira. È peggiorata, ma è ancora qui...

Salgo velocemente la lunga fila di scale che mi separa dal reparto e mi blocco davanti la sua nuova stanza.
La porta è chiusa, ma la figura di mia madre si può vedere grazie ad una vetrata posta accanto ad essa.
E lei è lì. Stesa su uno squallido letto d'ospedale, con una miriade di tubicini che le bucano le braccia, la pelle di un bianco cadaverico, i polmoni attaccati ad uno stupido respiratore e i suoi splendidi occhi azzurri, tanto simili ai miei, chiusi e segnati da profonde occhiaie.
Le sue piccole dita affusolate sono intrecciate a quelle di un uomo, mio padre.
Lui le parla, le sorride, le accarezza la guancia, sempre guardandola con amore e ammirazione.

Probabilmente il guerriero che è uscito più ferito da questa battaglia è stato il mio papà.
Ha perso suo figlio e ora l'amore della sua vita si sta spegnendo sotto i suoi occhi blu.
Sì, perché anche se dopo la scomparsa di Josh è caduto nel baratro, non ha mai smesso di amare la mamma, di sentirsi in colpa dopo averla ferita, semplicemente non ha mai smesso di sentirsi giusto solo con lei...

Due braccia calde e forti, accompagnate dal suo inconfondibile profumo di menta e fumo, mi avvolgono la vita da dietro.
Lascia un bacio fra i miei capelli e poi sulle mie guance, raccogliendo le lacrime che non mi ero accorta di aver liberato.
Senza dire nulla mi intrufolo fra le sue braccia e mi lascio cullare dalla sua stretta.

E solo ora, nascosta da tutto il mondo dal suo abbraccio, tutto scompare.
La perdita di Josh, il dolore della mamma, lo sguardo perso di mio padre, la paura, l'ansia, i sensi di colpa. Tutto si annulla.

Restiamo solo io e lui.

Adam. Quella che è diventata la mia casa, il mio posto felice.

My disasterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora