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Uno per mia madre.
Uno per mio padre.
Uno per me.

Uno per il dolore.
Uno per la solitudine.
Uno per le lacrime.

Uno per la vita. L'ultimo per la morte.

Era sempre così. Era sempre stato così.

Ogni giorno quell'orribile routin si ripeteva sulla mia pelle, nel mio cuore, nella mia mente.

Perché?

Questa era l'unica domanda che mi ponevo, quando riuscivo a trovare la forza di premere la lama contro la pelle delicata e pallida del mio polso.

Perché se ne sono andati? Perché mi hanno lasciato sola? Perché faceva così male nonostante gli anni? Perché le persone non facevo altro che guardarmi con disprezzo, ignorarmi, insultarmi. Perché?
Perché la zia non vedeva che ero sola, che non avevo nessuno, che nessuno voleva stare con me? Perché nessuno voleva stare con me? Cosa avevo fatto di male da meritarmi quello che stava succedendo?

E voi penserete, cosa sta succedendo?

Niente. Tutto.

Niente, non stava succedendo niente, la mia vita era così monotona e priva di significato.

Tutto, stava succedendo di tutto, nessuno voleva stare al mio fianco, tutti quelle frecciatine e insulti sussurrati, quei sorrisi divertiti al mio passaggio.

Ero sola. Ero sola, e nessuno se ne accorgeva.

Era così grigia e triste la mia vita, come il cielo di Glasgow ogni giorno ad ogni ora. Grigio. Quel misto tra bianco e nero, tra tutto e niente, tra buio e luce, tra bene e male, quell'equilibrio tra la vita e la morte.

Il dolore che portavo al petto era troppo forte, la morte dei miei genitori davanti ai miei occhi a soli sei anni era stata un duro colpo per me. Non l'avevo mai superata.
Per i due anni successivi a quel giorno smisi di parlare, non sapevo nemmeno io perché, non ero muta, semplicemente non vedevo il motivo di aprire bocca.

Perché la gente doveva parlare? Le uniche parole che uscivano erano false, cattive, proprio come le persone che le pronunciavano.

I dottori l'avevano definito mutismo selettivo, cioè la difficoltà del bambino di parlare in luoghi pubblici con persone estrane. Però io non parlavo nemmeno a casa, la zia era molto preoccupata ma non lo dava a vedere, di notte però, la sentivo piangere, parlava con mia mamma, diceva che non sarebbe riuscita ad andare avanti così.
Non volevo rimanere ancora sola, così a volte, dicevo qualche parola, per vederla sorridere con quegli occhi lucidi per la gioia.

Finito quel periodo, parlai tranquillamente, con tutti.

Sembrava che la vita cominciasse a riprendere un po' di colore, i compagni di scuola mi rivolgevano qualche parola, si sedevano al tavolo con me per pranzo.

Ma quando tornavo a casa e mi sdraiavo sul letto, ero di nuovo sola. Nessuno mi invitava ad uscire, ad andare a casa sua, nessuno mi scriveva per chiedermi 'come va?', a volte quella semplice domanda può salvare qualcuno.

Ma nessuno sembrava intenzionato a salvarmi.

I mesi passavano, così anche gli anni, ed eccomi alle porte del liceo. Ci avrei passato quattro anni e poi finalmente il college, lontano da tutto e da tutti, una nuova vita, una nuova me.

Ma non avrei mai pensato che quegli anni potessero essere così terribili, il grigio della mia vita aveva scelto la sua strada, il nero.

Buio, freddo, vuoto.

Bad Boy's Girlfriend • H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora