Capitolo 38

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Quella sera mia madre mi raccontò della nascita del figlio di papà, è stata molto dura, ma sia il piccolo che Anna stanno bene, mi ha detto che ha gli stessi occhi verdi di papà e i folti capelli bruni di Anna, ho visto una sua foto ed è il bambino più bello che abbia mai visto, hanno deciso di chiamarlo Tim Richard, mantenendo il nome di mio padre. Quando sistemeranno tutto il necessario per il bimbo verranno a trovarmi, questa notizia mi ha fatta sentire viva e gioiosa di essere diventata sorella maggiore.

Il giorno successivo la gioia sparì per colpa della matematica, un'altra lezione su quei numeri odiosi, solo a vederli mi vengono i capogiri, se uno mi chiedesse qual'è il mio numero preferito gli risponderei che la matematica non fa per me.

Per fortuna l'inferno è passato, ora devo farmi forza e cominciare con le ripetizioni, mentre aspetto fuori dalla scuola il mio tutor, infilo le cuffiette e mi rilasso con la musica, quando mi appare davanti David, cosa ci fa ancora qui? Sbuffo e mi tolgo una cuffietta.
«Che stai facendo?» mi domanda sorridendo, sembra non sia più arrabbiato.
«Sto ascoltando musica, non vedi?» faccio oscillare la cuffietta.
«Dai andiamo» ride di gusto e mi prende per mano, ma che vuole?
«Lasciami! Sto aspettando il mio tutor per le ripetizioni di matematica, vattene» mi rimetto la cuffietta ignorandolo e girandomi verso la scuola, perché non arriva, dannazione!
Mi prende le spalle e mi gira verso di lui togliendomi entrambe le cuffiette.
«Sono io il tuo tutor, scema» fa un sorriso sghembo.
«Stai scherzando vero?» urlo scioccata, ancora lui? Ma cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?!
«No, la professoressa ha chiamato me perché ero il più vicino, gli altri venivano da Los Angeles e anche più lontano»
«Ma tu insegni lettere, per quale motivo dovresti farmi ripetizioni di matematica?» grido infastidita.
«Prima di tutto, sono un professore e mi intendo anche di matematica, secondo devi smetterla di urlare con me o ti farò bocciare, mi hai capita?» mi rimprovera serio, incrocio le braccia e metto il muso.
«E togli quel broncio, dai ti prometto che non ti annoierò» fa un mezzo sorriso.
«Va bene professore» gli faccio un finto sorriso e lo seguo verso la macchina.
Il profumo intenso di quel piccolo abitacolo mi sovrasta facendomi bruciare le narici, era da molto tempo che non entravo nella sua auto, il cuore comincia a battermi forte, sono agitata, come il primo giorno che mi ha portata a pranzo dopo la scuola, durante il viaggio rimanemmo in silenzio e il suo sguardo non si stacco nemmeno un secondo dalla strada.
Arrivammo nel suo appartamento, il luogo dove mi ero promessa che non avrei mai più messo piede, ci sono troppi ricordi che fanno male al cuore, così per sciogliere il ghiaccio decisi di parlare.
«Perché non siamo andati a casa mia, nella mia camera c'è un'ampia scrivania e tutto il necessario per i compiti» dico agitata.
«Un professore ha tutto quello che serve, non preoccuparti» la sua voce mi fa quasi paura, non mi fido di lui.
Quando arrivammo al suo piano aprì la porta e mi fece entrare, un senso di vuoto mi perfora l'anima, questa casa mi provoca tristezza, il tavolino che aveva rotto Jeremy è ancora lì con tutti i pezzettini di vetro per terra, è rimasto uguale a come l'avevo lasciato, sembra che non sia più ritornato da quel giorno.
«Come mai è rimasto così?» lo guardo negli occhi, il suo sguardo è serio, un po malinconico e guarda il tavolino.
«Nell'ultimo periodo non venivo quasi mai qui, stavo con i miei genitori, entrare in questa casa era ogni volta una pugnalata al cuore, perciò non ho voluto rimediare al danno...» la sua voce è triste e i suoi occhi sono lucidi.
«E anche questa volta ti ha ferito?» le lacrime minacciano di uscire.
«Dai andiamo nello studio, prima cominciamo e prima finiamo» ritorna serio e si avvia verso lo studio, mi asciugo la lacrima che mi era scesa per sbaglio e lo raggiungo.
La stanza è abbastanza grande, c'è una scrivania in vetro a forma di goccia, una poltrona di pelle nera e tanti scaffali pieni di libri e fogli.
«Siediti pure qui, voglio che stai comoda» mi indica la sua poltrona, non mi oppongo e mi accomodo mentre lui prende un'altra sedia, noto sulla scrivania una cornice con una foto che ritrae lui e sua madre durante la laurea, sono davvero carini.
«Allora, cosa non ti è chiaro del programma di questa settimana?» mi domanda aprendo il libro, mi sento in completo disagio, perché non poteva essere un vecchio professore invece che lui? L'avrei preferito cento volte.
«Le equazioni, con tutti quei numeri e lettere non capisco nulla»
«D'accordo, cominciamo prima a fare qualche esercizio con le operazioni, e poi quando avrai capito il meccanismo passeremo alle espressioni, vedrai non sono così difficili» mi consola, così cominciammo e direi che capii tutto al volo, al contrario della prof che non si capisce una mazza quando spiega, facemmo due ore e imparai tantissimo, dovrò ringraziarlo, senza di lui non ce l'avrei fatta.
«Grazie...David» dico diventando rossa in viso.
«Non c'è di che Margaret, è per il tuo bene se lo faccio» si alza e si dirige in cucina, prendo le mie cose ed esco dallo studio.
«Quanto ti devo?» faccio per prendere il portafoglio ma mi blocca.
«Non ho bisogno di soldi, è un piacere per me farti ripetizioni» mi sorride in modo sexy.
«Ma devo comunque pagarti, la professoressa si arrabbierebbe» tiro fuori 60 dollari ma afferrandomi la mano me li fa rimettere a posto.
«Margaret, non ho bisogno dei tuoi soldi...se vuoi ripagarmi ci sarebbe un altro modo» dice serio, cosa vorrebbe dire con quella frase?
«Scordatelo, non posso fare quello che vuoi, me ne vado» mi giro ma mi afferra per il braccio.
«Non intendevo nulla di simile, volevo solo chiederti se ti andava di rimanere a cena, dato che non abbiamo avuto modo di pranzare...» in quell'attimo la mia pancia assunse un rumore per la fame, si mise a ridere e mi fece accomodare sul divano mentre andava a cucinare qualcosa, in fondo non c'è niente di male, è pur sempre il fratello del mio ragazzo... .
Preparò una paella spagnola con contorni di verdure, era tutto buonissimo, mi mancavano queste sue cene tipiche delle varie nazioni, ti fanno viaggiare con la mente, mi piacerebbe un giorno andare a visitare la Spagna o l'Italia, staccare un po dalla vita quotidiana fa bene.

Sono le 22:30, è ora che ritorni a casa.
«Devo andare, grazie per la giornata di oggi e per la cena...domani per che ora devo venire?»
«Vieni in mattinata, così ti lascio il sabato pomeriggio libero» dice aprendo la porta.
«Va bene...ciao David»
«Ciao Marghy» si avvicina e mi da due baci sulle guance, dopodiché ritorno a casa dove c'è mia madre che mi aspetta preoccupata.
«Margaret, come mai sei tornata così tardi? Ti ho chiamato tante volte ma non mi hai risposto» mi abbraccia.
«Tranquilla mamma, è tutto apposto, il telefono era spento, è andata bene...quando ho finito ho voluto fare un giro nel parco e ho mangiato una cosa al volo...domani mattina devo ritornare» mi invento, con lo sguardo mi fa capire che non ci crede molto ma non insiste e mi lascia andare a dormire. Prima di addormentarmi guardo i vari messaggi di Jeremy dove mi chiedeva che fine avessi fatto e se domani mattina andavamo a fare una gita a Malibu, risposi che ho studiato e che la mattina non potevo, poi spensi il cellulare e mi addormentai pensando a cosa mi riserverà la giornata di domani.

Quel supplente che mi ha stravoltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora