Capitolo 55

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Al mio risveglio accesi il cellulare e trovai 20 chiamate perse da David, cavoli non si è arreso facilmente, ha voluto insistere così tanto, è solo che non capisco cosa mi voglia dire di così importante, scorro la rubrica finché trovo il suo nome e premo la cornetta.
*1 squillo*
*2 squilli*
«Margaret!» risponde veloce come se stesse aspettando da una vita.
«Ciao...ti ho disturbato?»
«No no, stavo aspettando che mi chiamassi, ieri ti ho telefonato un paio di volte ma non rispondevi...» sorrido.
«Direi più di un paio...comunque non l'ho sentito...scusa...cosa volevi dirmi?» chiedo arrivando al punto.
«Oh, ehm...ti va se ci vediamo...per un caffè?» domanda in imbarazzo.
«David...non credo sia una buona idea» non me la sento di vederlo un'altra volta.
«Ti prego...solo per 5 minuti...voglio vederti...per l'ultima volta, se è quello che preferisci» dice triste, forse è un vero addio, forse questa è davvero l'ultima volta che lo rivedrò.
«Solo 5 minuti, dove ci vediamo?» dico sospirando.
«Vediamoci al bar vicino la scuola, ti aspetto» dice con un pizzico di felicità.
«Ok, a dopo» e chiudo la chiamata.
Faccio un respiro profondo, ok, andrà tutto bene, non succederà nulla, dobbiamo solamente salutarci e tutto sarà finito, lui continuerà con la sua carriera da scrittore e io continuerò a studiare per diventare una giornalista, niente di più.
Ora, domanda complicata, cosa mi metto?
Di sicuro un bel tubino stretto ci sta, però se lo metto nero sembra che sto andando ad un funerale, quindi no; se metto uno fluorescente sembra che devo andare ad una festa in discoteca, quindi scartiamo; se metto quello verde no perché da speranza e dato che è un addio, non va bene; quelli troppo scollati sembreranno che voglia provocarlo, e quelli troppo accollati mi fanno sembrare una barbona...trovato! Questo è perfetto, è un tubino né troppo scollato né troppo accollato, ha dei disegni geometrici col blu, il beige e il bianco, ed è lungo fino al ginocchio, è formale e degno di una donna per bene, lo afferro e vado in bagno per farmi una bella doccia.

Prima di vestirmi passai un'altra mezzora a scegliere l'intimo e alla fine optai per una culotte e reggiseno abbinato in pizzo avorio; terminai il tutto con dei décolleté in vernice beige con tacco a spillo.
Decisi di raccogliere i capelli in un piccolo chignon basso e arricciai due ciuffi che lasciai cadere a un lato del viso, coprendo leggermente l'occhio destro.
Per mia sfortuna quel giorno dovevo avere le labbra secche, e fui costretta a mettere il burrocacao alla fragola che mi regalò mia madre prima di andare all'università.
Quando scesi in salotto vidi mia madre già in piedi.
«Ehi tesoro, come mai così elegante? Non vai all'università?» dice dandomi un bacio sulla guancia.
«No, il professor Lane ci ha assegnato un'altra intervista e sono anche in ritardo, quindi scusami ma devo andare, ci vediamo più tardi, ti voglio bene» dico cercando di essere convincente ed esco di casa.

Quando arrivo lo vedo già seduto ad un tavolo all'interno del bar che si guarda intorno mentre agita ripetutamente la gamba, si è messo il gel ai capelli e indossa una camicia blu e un pantalone nero; spengo la macchina e lo raggiungo.
«Buongiorno» dico mantenendo la mia serietà.
«Ciao, Margaret, sei splen-bello il vestito» dice alzandosi di scatto e guardando il mio corpo, forse questo vestito mi fascia troppo...mi fa accomodare tirando indietro la sedia, come un vero gentiluomo, dopo di che ritorna al suo posto.
«Cosa ordini?» mi domanda guardando il listino, nel frattempo arriva la cameriera.
«Solo un caffè per me, grazie» rispondo.
«Due caffè allora» dice lui.
«E quindi ora sei una giornalista» dice sorridendomi.
«In realtà, sto ancora studiando all'università della California, mi manca ancora un bel po'» dico facendo un piccolo sorriso.
«Wow...sei diversa...cioè in senso buono...il tuo modo di vestire...i capelli...li hai tagliati...insomma sembri più donna» il suo sguardo è ammaliato.
«Sì...la vecchia Margaret ora non c'è più» dico abbassando lo sguardo.
Arriva il caffè e rimaniamo in silenzio.
«Come mai hai scritto un libro su di me?» dico di punto in bianco, senza nemmeno riflettere.
«Da quando non stiamo più assieme, l'unica cosa che mi salvava dalla depressione era scrivere, e scrivere di noi mi faceva sognare e rivivere il passato, non volevo dimenticare tutto, perciò ho voluto scrivere questo libro per mantenere vivo il ricordo di noi...» dice abbassando lo sguardo sulla tazza di caffè, quindi lui non mi ha mai dimenticata? Allora perché io l'ho fatto?
«Tu...invece, come l'hai vissuta?» domanda arrossendo.
«Io...avevo cominciato a prendere degli antidepressivi...e andavo da uno psicologo...dal dottor Beckham» dico timida.
«Oh, e ti ha parlato di me?»
«Sì, ma la mia decisione era di cominciare una nuova vita e di non pensare più al passato...grazie ai miei amici e a lui mi sono ripresa e ora sto molto meglio» dico guardandolo.
«Quindi mi hai dimenticato» dice diventando rigido. Non rispondo.
«Non importa, sono felice che tu stia...bene...ora hai qualcuno...cioè sei fidanzata?» nel suo sguardo vedo tristezza e rancore.
«No, ora penso solo allo studio...tu?» ho paura della risposta, se stesse con una donna sarei felice per lui, ma dall'altra parte è come se ricevessi l'ennesima pugnalata, ma qualsiasi cosa sia, ormai non fa più differenza.
«No, sennò non sarei qui, e non avrei scritto un libro su di te» dice sorridendo e rilassandosi, cosa che anche io faccio dopo quella risposta, in effetti non aveva senso tutto questo.
Guardo l'orologio e mi accorgo che erano passati più di 5 minuti, così presi la borsa e mi alzai.
«Ora devo andare, o farò tardi alle lezioni» è arrivato il momento di dirci addio, ho un nodo in gola, ma devo farlo.
«Vai già via? Sei sicura di non voler restare ancora un po?» dice alzandosi.
«Sì, devo proprio andare» dico guardandolo dispiaciuta.
«Quindi...questo è un addio...non ci rivedremo mai più» dice con la voce rauca e lo sguardo distrutto.
«È meglio così, per tutti e due...addio David» mi sento malissimo, ma devo essere forte.
«Addio Margaret» lo guardo per l'ultima volta, dopo di che esco dal locale.
Mentre guido verso l'università scoppio a piangere, vederlo col cuore spezzato mi ha fatto male, ma purtroppo non possiamo stare insieme, non siamo uguali e soffriremo solamente, perciò è giusto che ognuno pensa a se stesso e viva la sua vita come vuole.
Arrivo all'università, mi asciugo le lacrime ed entro, dentro l'aula c'è il prof Lane che sta spiegando le varie parti di un giornale, appena mi vede mi fa uno sguardo preoccupato, io abbasso la testa e vado a sedermi vicino una ragazza che ho conosciuto da poco, che mi sta molto simpatica e ci aiutiamo a vicenda con lo studio, si chiama Geneviève, ma tutti la chiamano Gen, ha origini francesi, ha un caschetto biondo e porta sempre il basco francese.
«Ehi, che carina che sei, ma come mai sei venuta così tardi?» dice con la sua R moscia.
«Grazie, nulla di importante, ho avuto un contrattempo...» dico aprendo il quaderno.

Quel supplente che mi ha stravoltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora