Capitolo 47

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La luce del sole mi fa svegliare, sbadiglio e afferro il cellulare, è quasi mezzogiorno, come ho fatto a dormire così tanto? E poi ora che ricordo non ho fatto nessun incubo, quelle pastiglie sono una bomba, credo che comincerò a prenderne di più.
Mi alzo dal letto con un'energia incredibile, l'estate ormai è alle porte e voglio essere in forma, così apro l'armadio e indosso un leggins corto e un top sportivo, prendo le mie scarpe da corsa e scendo in salotto, mia madre è già tornata dal lavoro.
«Buongiorno tesoro, come ti senti? Hai dormito parecchio» dice facendo finta di essere tranquilla, ma si capisce dal suo sguardo che è preoccupata.
«Sto bene, ora esco, ci vediamo dopo» dico prendendo le cuffiette dal portaoggetti situato vicino al televisore.
«Ma è quasi pronta la pasta, ti ho preparato la carbonara, la tua preferita»
«Mangerò qualcosa fuori, scusami» dico velocemente ed esco di casa.
Respiro l'aria calda, infilo le cuffiette e comincio a correre, il vento mi scompiglia i capelli, corro più forte, cominciano a uscirmi piccole goccioline di sudore, i battiti del cuore aumentano di velocità, le gambe cominciano a farmi male, ma non mollo, continuo a correre, ogni rumore è sovrastato dalla musica, corro a testa alta ma è come se non vedessi nulla, ho la mente che viaggia in un altro mondo, dove tutto è più leggero e armonioso, dove non esiste la tristezza e il grigiore, dove le persone si vogliono bene e si amano, un mondo che vorrei al posto di questo.
Non mi sono resa conto che stavo correndo quasi in mezzo alla strada, sto attraversando le strisce, quando vengo tirata dal braccio da qualcuno, vedo una macchina passare veloce davanti ai miei occhi suonando il clacson, a quel punto mi ritrovo tra le braccia di Leòn, solo dopo capisco quello che stava per accedere, stavo quasi per essere investita da un'auto, non ero in me in quell'istante, potevo morire.
«Margaret, stai bene? Quella macchina non si è fermata, dio se non fossi arrivato...» lo zittisco mettendogli un dito sulle labbra.
«È tutto apposto, sto bene, ero solo un po' distratta» gli faccio un mezzo sorriso e mi rialzo.
«Margaret, possiamo parlare un attimo?» mi dice serio.
«Dimmi»
«No, non qui, vieni con me» mi prende per mano e ci incamminiamo per non so dove.

Arriviamo in un piccolo bar nascosto in una vietta, ci sono dei tavoli all'aperto, e la facciata è di uno stile vintage con delle lucine appese, dalla vetrata vedo che all'interno ci sono tanti scaffali pieni di libri antichi, quelli con le pagine ingiallite e un po strappate, sui davanzali vi sono tante piccole piantine grasse, è un luogo strano, ma mi piace; ci sediamo su un tavolino all'esterno e subito arriva una cameriera con tanto di divisa nera con colletto e grembiule bianco, sembra di stare in un anime giapponese.
«Buongiorno, cosa desiderate?»
«Due tisane alla melissa e dei pasticcini, grazie» dice Leòn con tono nervoso, la cameriera rientra e lo guardo male.
«Perché hai ordinato anche per me? Non ho fame...e non ho bisogno di una tisana, sono molto tranquilla, anzi mi sento in gran forma» dico decisa.
«No, tu non stai bene, tua madre mi ha telefonato ieri sera per dirmi che non mangi e che ti vede strana, cosa ti sta succedendo Margaret?» dice preoccupato.
«Te l'ho già raccontata la mia storia, dovresti capirmi» incrocio le braccia al petto e abbasso lo sguardo.
«Certo che ti capisco, ma in questi ultimi giorni sei diversa, dev'esserci qualcos'altro, è come se avessi dimenticato tutto e vorresti ricominciare la tua vita al meglio...»
«Sì, mi sto riprendendo da quello che è successo, non sono più triste, non è quello che volevi? Non dovevo dimenticare tutto?» dico arrabbiata.
«Uno non cambia di punto in bianco, ci vuole tempo, e poi per quale motivo hai smesso di mangiare?» in quel momento arriva l'ordine.
«Ho solo saltato la cena di ieri e il pranzo...a tutti capita di non avere fame ogni tanto» dico prendendo con rabbia un pasticcino e mangiandolo con forza, a quel punto tutta la rabbia che avevo in corpo si trasforma in tristezza e scoppio a piangere, Leòn si alza e mi abbraccia.
«Piano, o ti strozzerai...tieni, bevi un po' di questa, ti farà bene» mi porge la tazza e ne bevo un po' finché non mi calmo.
Finimmo la tisana in silenzio, mi sento in colpa per essermi comportata in quel modo, non so cosa mi è preso, mentre mi accompagnò a casa col suo furgone, presi coraggio e cominciai a parlare.
«Scusa...per prima...non volevo trattarti così...e comunque grazie ancora»
«Per cosa?» chiede puntando un attimo gli occhi su di me.
«Per avermi salvato la vita per la seconda volta...superman» dico sorridendo, sorride anche lui e accosta davanti al cancello di casa mia.
«Scusami tu, per averti aggredito in quel modo, angioletto» dice abbracciandomi forte, tra le sue braccia mi sento a casa.
«Comunque...non so darti una risposta alle domande di prima, io mi sento così in questi giorni, ho più energia, cerco sempre di pensare a cose belle, magari mi sto davvero riprendendo» dico felice.
«Sì, forse hai ragione tu, beh comunque sono felice che tu stia dimenticando il passato, è così che ti voglio» mi sorride, dopo di che lo saluto ed entro in casa, mia madre è seduta sul divano e sbatte ripetutamente il piede sul pavimento, appena mi vede si alza.
«Dove sei stata?» è nervosa, quasi arrabbiata.
«Sono andata a correre perché?»
«Cosa sono queste eh? Voglio una spiegazione ora!» mi urla tirando fuori dalla tasca della mia giacca la scatola di antidepressivi, non mi ero nemmeno resa conto di non averceli con me, a quel punto sbianco, cosa le dico adesso?
«Non sono mie...Lily mi ha chiesto di andarle a comprare, domani devo portarle» cerco di inventare una scusa, sto sudando freddo, non mi sento bene.
«Non prendermi in giro, Margaret, Lily non ti sente dall'ultima volta che è venuta qui e tu non volevi vederla, per quale motivo stai prendendo degli antidepressivi?» mi sgrida arrabbiata, mi sento la testa girare, non faccio a tempo a rispondere che cado a terra.

Quel supplente che mi ha stravoltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora