Capitolo 49

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Ansia.
Voglia di scappare.
Paura.
Questo è quello che sto provando in questo momento.
Ho il cuore che pulsa troppo veloce, sto sudando e vorrei non essere qui.
Ho gli occhi puntati su una porta enorme e possente in legno scuro, con un cartellino bianco con scritto "Dott. Beckham", mi tremano le mani, dai Marghy, andrà tutto bene, faccio un respiro profondo e busso alla porta.
«Avanti!» si sente dall'altra parte, apro la porta e vedo un uomo sulla quarantina, moro, fisico asciutto, seduto su una poltrona marrone a firmare delle carte, chiudo la porta alle mie spalle ma non ha ancora alzato la testa su di me, tossisco.
«Ehm...sono Mar» mi blocca.
«Margaret Thompson, sì, siediti dove vuoi» dice continuando a occuparsi delle sue faccende, aggrotto le sopracciglia non capendo, ma faccio come dice, vedo a destra una poltrona relax che in realtà mi provoca più ansia che relax, e a sinistra una sedia, mi siedo su quella.
«Sei codarda, ragazzina» dice non degnandomi minimamente di uno sguardo.
«Come prego?» dico cominciando a innervosirmi.
«Hai perfino paura di una poltrona, sei impaurita da tutto, e scommetto anche da me» finalmente alza lo sguardo su di me, mi fissa dalla testa ai piedi con un sorrisetto, ma come si permette di giudicarmi in quel modo?
«Senta, per prima cosa, non sono una ragazzina, ma una donna, secondo, non puoi giudicarmi senza conoscermi, e terzo non mi fa per nulla paura» mi alzo sbattendo le mani sulla scrivania e minacciandolo, si crede un figo che può mettere i piedi in testa ai suoi pazienti.
«Non usare quel tono con me, signorina Thompson, o non l'aiuterò. Nel mio studio esigo rispetto» mi afferra il braccio e me lo stringe.
«D'accordo, anch'io voglio rispetto, e di certo non mi faccio obbligare da un prepotente» ritraggo il braccio e mi dirigo verso la porta.
«Vigliacca» mi urla.
«Stronzo!» mi giro facendogli il dito medio e sbatto la porta, ma guarda tu che tipo, e così dovresti aiutare le persone, trattandole di merda, sapevo che non sarebbe stata una bella idea.
Sto camminando verso casa mia quando una macchina costosa grigio scuro mi si avvicina, i vetri sono oscurati e non riesco a identificare il guidatore, quando lo abbassa vedo di nuovo quella faccia tosta del dottore, aumento il passo.
«Sali in macchina, ti porto in un posto più tranquillo, così potremmo parlare di quello che ti succede» dice accelerando per seguire il mio passo.
«Se lo scorda, non parlerò con lei, e poi può essere un maniaco» dico incrociando le braccia e continuando a camminare.
«Non saresti nemmeno salita in macchina con il professor Collins se fosse per questo» a quell'affermazione perdo un battito.
«Co-come fa a saperlo?» io e la macchina ci fermiamo in una rientranza.
«Conosco David meglio di te, pensavi che ti avessi giudicato senza conoscerti? Ho capito già tutto piccola Margaret» rimango scioccata dalle sue parole, non so cosa fare, lo guardo e mi indica con la testa di entrare in macchina, così rassegnata apro la portella.
Durante il viaggio è silenzioso, così decido di intervenire, voglio capire perché sono con lui.
«Dottore...»
«Beck, è il mio soprannome» mi blocca, alzo le sopracciglia sorpresa, ma annuisco.
«Beck, per quale motivo sono qui?»
«Per parlare dei tuoi problemi, per sfogarti, e per aiutarti» si gira e mi sorride, in quel momento spegne la macchina nel bel mezzo di un bosco.
«Dove siamo?» dico iniziando a preoccuparmi.
«Stai tranquilla, questo è il mio posto segreto, non ci ho mai portato nessuno, fidati di me Margaret, sono un dottore, non un pervertito» mi accarezza un braccio e scende dalla macchina, lo seguo.
«E perché ha portato me?» cerco di mantenere il suo passo anche se i sassi me lo impediscono facendomi inciampare.
«Perché sei diversa e questo posto è fatto per te» si gira e allarga le braccia, sposto lo sguardo davanti a me e vedo una grande roccia rialzata.
«Una roccia?» lo guardo stranita.
«Non è una semplice roccia, è la roccia del pensiero, dai vieni» sale sopra la roccia e si siede lasciando le gambe a penzoloni, lo imito e lui chiude gli occhi.
«Se sa già tutto perché vuole che le parli?» intervengo.
«Io so tutto di Collins, ma non so niente di te, devi raccontarmi la tua vita» dice guardandomi, non mi fido ancora di lui, perciò lo sfido.
«Ti racconterò la mia vita solo ad un patto»
«Dimmi tutto» dice tranquillo.
«Devi prima dirmi tutto quello che sai su David» mantiene lo sguardo fisso sui miei occhi mettendomi in soggezione.
«Va bene Margaret» mi sistemo meglio e apro bene le orecchie, ma lui si alza e scende dalla roccia.
«Ehi, dove vai?» lo seguo.
«Per oggi abbiamo finito, la prossima seduta sarà domani mattina alle 10:30» lo guardo male.
«Come sarebbe a dire? Mi avevi detto che mi avresti parlato di David!» entra in macchina, faccio lo stesso.
«Ne parleremo domani, ora ho un altro paziente, mi raccomando sii puntale» rimango sbalordita, ma in effetti erano già passate due ore e per lui la giornata non era finita, quindi rimasi in silenzio e si offrì di accompagnarmi a casa.

Una volta arrivati, aprii la portella e lo salutai.
«Non venire nel mio studio, troviamoci alla Starbucks» dice serio.
«Ok, arrivederci...e grazie» dico arrossendo, fa un cenno con la mano come a dire che non devo scusarmi e riparte, entro in casa ancora scossa.
Mia madre mi accoglie con un abbraccio, avrà visto tutto.
«Ciao piccola, come è andata? Vedo che è un uomo molto gentile, ti ha accompagnata fino a casa» sorride.
«Ci trovavamo a pochi minuti da casa, e comunque non ho voglia di parlarne, vado a riposarmi» dico andando in camera.
Mi butto sul letto e accendo il cellulare, non ci sono messaggi, così prendo le cuffiette e mi perdo tra le note delle mie canzoni preferite.
A un certo punto la musica si blocca e nello schermo compare il nome di Leòn, mi sta chiamando.
«Pronto?»
«Ehi, angioletto, tutto bene? Ho visto che eri online e quindi volevo sapere com'era andata la seduta dallo psicologo» dice dall'altra parte.
«È uno stronzo, ma sa più del dovuto»
«Wow, e cosa sa?»
«Conosce David»
«Oh, e cosa ti ha detto?»
«Non ha voluto dirmelo oggi, domani mi dirà tutto, altrimenti lo ammazzo» dico infuriata.
«Che stronzo!»
«Te l'ho detto» rido.
«È così che ti voglio, sempre sorridente, vedrai che ti saprà aiutare, anche se è stronzo» ride anche lui.
«Oh, Leo, solo tu puoi aiutarmi, mi manchi tanto, stasera usciamo?» dico aprendo l'armadio.
«Ovvio tesoro, è d'obbligo uscire in questi giorni, dai preparati che ti vengo a prendere alle sette»
«Va bene, ciao» e chiudo la chiamata.
Mentre passavo il dito tra i vestiti tocco il vestito bianco, morbido che mi aveva regalato mia madre del compleanno, mille ricordi mi vengono in mente, era stato il compleanno più bello della mia vita, tolgo la mano e prendo il vestitino affianco giallo e mi preparo lasciando perdere i ricordi, domani scoprirò quello che sa Beck su David, sono in ansia, ma forse mi aiuterà a dimenticarlo per sempre.

Quel supplente che mi ha stravoltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora