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Credo di rimanere seduta a piangere per quindici minuti buoni.
Tutte le volte é così. Mi basta pronunciare il suo nome per sentirmi in colpa.

Una colpa che non andrà mai via.

Mi alzo e vado verso lo specchio.

Maledizione, sono diventata un panda e mi sono truccata meno di mezz'ora fa.

Mentre mi sistemo il trucco, sento degli scricchiolii fuori dalla finestra.

Aspetta.

Questo rumore viene da fuori?

Mi affaccio alla finestra e vedo una macchina nera accostare nel vialetto.

Una macchina? Di lusso, per di più.
E chi cavolo..?

La portiera nero lucido si apre e dalla vettura esce un ragazzo alto e biondo, occhi castani credo, ma sicuramente abbronzato.
Verrà dal sud.
Indossa abiti costosi, probabilmente su misura.
Correggo la mia prima ipotesi: verrà da una vacanza al sud.

Dietro di lui scende un altro ragazzo, più pallido, con capelli neri e occhi azzurro mare.
Sento il sangue gelarsi nelle vene.

William.

Ma non può essere lui. Lo so.
Cazzo. Come si somigliano.

Anche lui indossa lo stesso tipo di abbigliamento del biondino: abiti costosi, su misura.
Figli di papà. Sicuramente.

Già mi stanno sulle scatole.

Dal castello esce il preside Rufius, bassino rispetto ai due ragazzi. Saluta i nuovi arrivati e li fa entrare, mentre i dipendenti scolastici portano i loro bagagli costosi dentro l'edificio.

Pure serviti e riveriti, i mocciosi.
Scommetto che non sanno neanche allacciarsi le scarpe da soli.

Mi accorgo che molti ragazzi sono alle finestre a guardare.
Chiudo la mia.
Chi se ne importa di questi due.
Facessero quello che vogliono.
Ho problemi più gravi a cui pensare.

Mentre preparo la mia borsa ripenso al mio splendido programma mattutino:
matematica
matematica
inglese
filosofia
italiano
ginnastica.
Tra tutte si salva solo filosofia. Forse.

Ginnastica la odio. La prof. ce l'ha con me dal giorno in cui la feci cadere per le scale, dopo avermi "regalato" un quattro, usando come giustificazione lo smalto nero che avevo alle unghie durante una delle sue lezioni.

Amo il nero e nessuno me lo può togliere.

Cinque mesi in malattia e i successivi pentamestri a faticare come un somaro per un misero sei.
Maledetta.

Il suono della campanella mi risveglia dai miei pensieri.
Devo andare a sorbirmi due ore di matematica con quella vecchia avvizzita.

Mentre cammino nei corridoi, noto molta agitazione.
Probabilmente dovuta ai due nuovi arrivati.

È raro che arrivino nuovi studenti nel bel mezzo dell'anno scolastico e, se succede, arrivano con un autobus turistico e con una quantità assurda di bagagli al seguito.
I due ricconi, invece, sono arrivati con una macchina di lusso e con un numero alquanto esiguo di bagagli.
Ci credo che fanno scalpore.

Arrivata nell'ala del castello riservata alle lezioni, entro in classe e mi metto al mio solito banco in fondo.
Guai a chi si avvicina a quel banco!
Per fortuna, tutti in classe lo sanno.
È mio.
È il posto più nascosto di tutta l'aula.

Una volta ci trovai una ragazza insieme alla sua amichetta del cuore.
Non credo serva dire che è finita in infermeria.
Lei e l'amica.

Entra l'insegnante, giusto in tempo per vedermi arrivare al mio bel posticino nascosto.

Never Give UpDove le storie prendono vita. Scoprilo ora