Un week end uggioso

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Mi sveglio tardi per i miei sacri canoni per cui la mattina ha l'oro in bocca; sfilo la camiciola da notte ed indosso un felpa gigante e logora con lo stemma della Nôtre Dame e dei pantaloncini corti. Non mi lavo nemmeno la faccia; una rapida occhiata allo specchio mi conferma di avere ancora l'elaborata acconciatura della sera prima, tiene ancora, almeno mi sono struccata.
Vado in casa, ho davvero bisogno di una tazza enorme di caffè, quando esco dalla dependance trovo una leggera pioggerellina, guardo il cielo, cupi nuvoloni minacciosi si avvicinano. Con la coda dell'occhio vedo una sagoma arrabattarsi a raccogliere il devasto della festa, penso che andrò a darle una mano, dalle fattezze presumo sia Gonzalo.
Prima però mi servo due generose tazze di caffè, per fortuna in questa casa il bricco è sempre pieno.
Gonzalo indossa sopra il suo solito abbigliamento una leggera cerata che le svolazza intorno; verso la riva il vento si manifesta con impeto. Silenziosa prendo un sacco dell' immondizia, lei ne ha già riempiti diversi.
Mi metto a raccogliere gli avanzi della festa e buttarli nei sacchi. Gonzalo mi vede e ricompensa con un enorme sorriso. Lavoriamo senza parlare per un paio d'ore e finalmente: la spiaggia, il patio e la piscina tornano al loro originario splendore.
Sopra di noi rimbomba la ferocia della tempesta, abbiamo finito però.
Vado a farmi una doccia, un po' per scaldarmi, le temperature si sono vistosamente abbassate, un po' per togliermi l'odore della birra e degli avanzi raccolti.
Torno nella casa fresca e pulita, ho deciso di indossare dei pantaloni di lino bianchi con una camicia orientale abbinata; ora ho anche molto appetito .
Moussad mi comunica che Mr. Covenaugh non è tornato ed i ragazzi non hanno ancora lasciato le loro stanze, mi prepara un'insalata di pollo e mi informa che Gonzalo e lui non saranno presenti per il resto del week end, se avessi bisogno di qualcosa, di comunicarglielo oppure di lasciare un appunto sulla lavagna d'ardesia posta accanto al frigo in cucina. Mentre finisco di mangiare arriva un assonnato Stephen, si trascina in cucina e siede su uno sgabello massaggiandosi le tempie.
《 Giorno bambolina! Ho un mal di testa epocale. 》
《 Buongiorno a te, Stephen! 》
Moussad mette via due porzioni di insalata di pollo nel frigorifero dopo averle coperte con la pellicola per alimenti, scuote la testa e lascia la stanza.
《 Credo di avere bevuto troppo. Tu come stai?》mugugnia.
《 Bene direi, dopo la cena non ho più bevuto... Mi sa che anche tuo fratello sia ko non si è ancora visto.》
《Oh lui, non c'è pericolo, non perde mai il controllo!》
Inarco un sopracciglio perplessa e rivedo la scena in cui mi è piombato addosso ubriaco marcio, ma me lo tengo per me.
《 Mi ha mandato un messaggio: è andato con Strotman alla baia a surfare! Starà via tutto il week end: è partito stamani all'alba.》
Non replico, mi alzo e metto le stoviglie sporche nel lavello.
Stephen rigira la tazza di caffè tra le mani e mi annucia che tornerà sotto le coperte, tanto la giornata fa schifo; guarda il temporale oltre le finestre. Mi da un buffetto e se ne va.
Prendo la sua tazza e la sciacquo.
Torno alla dependance; per un po' curioso Facebook, non aggiorno né pubblico nulla dalla scorsa primavera, curioso il profilo di Chanel e Sunny. Sunny ha postato un sacco di foto quest'estate. La chiamo via skype: é distante, strana, mi congeda in fretta.
Provo a chiamare la mamma, le lascio un altro messaggio nella casella vocale.
Questa pioggia mi intristisce. Ciondolo per l'appartamento svogliata, mi accorgo dei piccoli cambiamenti apportati da Gonzalo, disfando il mio bagaglio. Sulla toiletta campeggia in una bella cornice una foto di me, Sunny e Chanel.
Sul comodino accanto al letto, vicino alla mia sveglia di Hello Kitty: il taccuino di Chanel, mi siedo sul bordo del letto e lo prendo fra le mani: un quadernetto con una copertina in pelle scamosciata raffigurante un bimbo che tende le mani ad un palloncino ormai lontano. È stracolmo di biglietti incollati e foto.
Lo tengo chiuso grazie ad una fascia per capelli di quando ero piccola.
Mamma ne aveva portati due da un suo viaggio a Firenze, in Italia, l'estate dei nostri quattordici anni. Lo avevamo riempito di dediche, frasi, citazioni e foto poi ce li eravamo scambiati. Lo apro a caso, leggo una delle frasi preferite di Chanel: il discorso di Martin Luther King, una foto si scolla e cade a terra, mi chino per raccoglierla e vedo noi a sette anni, i nostri visetti accostati, tra i capelli delle coroncine di margherite. Sospiro, mi sto deprimendo.
Apro il cassetto del comodino e ficco tutto dentro;  vado all'armadio mi spoglio frettolosamente, lascio i vestiti a terra: indosso un completino da running e vado a correre. Sento impellente il bisogno, l'urgenza di muovermi.
Fuori continua a piovere ma non mi importa, l'acqua si mescolerà alle lacrime, corro e piango.
Piango per me, per Chanel, per tutto lo schifo che c'è in questa vita; mi sento così sola.
Corro...Corro finché ne ho le forze poi torno indietro esausta, spossata oltre ogni dire.
Sulla soglia della dependance trovo Stephen, mi chiede se voglio unirmi a lui per una pizza e poi andare alla sala giochi con Jordan ed Eric.
Non me la sento; sono fradicia fino al midollo, voglio fare un bagno caldo ed andare a letto presto.
Mi fissa perplesso, devo essere un disastro coi capelli incollati alla testa, i vestiti appesantiti dalla pioggia e la faccia stavolta dal pianto. Mi raccomanda di chiudermi bene a chiave e di chiamarlo se avessi bisogno di qualcosa. Gli sorrido mentre lo guardo fare ritorno alla villa.

°°°

Quando mi sveglio il mattino dopo ho un cerchio alla testa e sento male dappertutto, la corsa del giorno prima mi ha sfiancato.
Entro alla villa in punta di piedi non ho nemmeno voglia di un caffè; mi serve una compressa: non mi importa se sono in pigiama. Cerco nel bagno accanto la sala da pranzo e rovisto nei cassetti della cucina, nulla. Decido allora di andare a svegliare Stephen: salgo i gradini che portano al piano superiore reggendomi al corrimano; sento le gambe molli. La sua è la prima stanza sulla destra, la porta è socchiusa con una mano l'apro.
Dorme a pancia in giù di traverso, le coperte sono perlopiù per terra indossa solo bermuda in cotone.
I capelli contrastano con il candore della federa.
Mentre sono ferma a guardarlo si sveglia e mi punta gli occhi addosso.
《Buongiorno raggio di sole!》
《Stephen...》

Sono nel letto di Stephen, alterno momenti di lucidità a momenti di sopore, sulla fronte sento un peso.
《Kallie hai un febbrone, non togliere la pezza.》
Ogni tanto sento sul mio viso una mano fresca, non riesco ad aprire gli occhi che sono troppo pesanti.

Sento delle voci lontane discutere, poco dopo due braccia forti mi sollevano, cingo il collo del mio salvatore.
Mi sento deporre su qualcosa di fresco, cercano di farmi bere qualcosa, assecondo e deglutisco.
Ogni tanto mi scuotono per farmi bere ancora: pian piano riprendo conoscenza.
Sono tanto stanca. Mi guardo attorno nella stanza, giro piano la testa che fa ancora male, meno però.
《Come sta?》sento la voce di Stephen chiedere.
《Riposa, la temperatura si è abbassata. 》questa é la voce di Byron.
《Step come hai potuto lasciarla andare a correre sotto il diluvio di ieri? 》 Byron si passa una mano sul mento dove c'è un accenno di barba. Vedo Stephen chinare il viso: mi sento in dovere di intervenire.
《È colpa mia! Solo colpa mia! 》 sento la mia voce flebile, si girano entrambi verso di me, in due falcate Byron è al mio capezzale. Sto cercando di tirarmi su a sedere nel letto.
《 Non fare sforzi!》
Byron mi guarda serio, prende due cuscini e me li accomoda dietro la schiena ora sono semi seduta nel letto.
《 Mi hai fatto prendere un colpo, bambolina: stamani sei svenuta, ero nel panico, per fortuna dopo un'ora , in cui tu sei stata incosciente, è arrivato Byron. E beh ...Come vedi ha preso in mano la situazione!》
《 Ma a cosa diavolo pensavi? Andare a correre sotto quel diluvio?》 la voce di Byron è carica di rabbia.
Sono così mortificata che mi viene da piangere, mi mordo il labbro ma una lacrima scende lo stesso, mi guardano spiazzati, Byron esce dalla stanza.
Stephen avvicina una poltroncina al letto e si siede, mi prende le mani fra le sue .
《 Ci hai fatto davvero spaventare , nelle ultime otto ore Byron è stato qui a vegliarti; non ti svegliavi. 》
《 Oh! Ora sto decisamente meglio, mi dispiace tanto avervi fatto preoccupare. 》
《Dolcezza, l'importante è che tu ora stia meglio!》
Byron torna nella stanza reggendo tra le mani una tazza fumante, Stephen si alza, gli cede il posto e lo sento scendere le scale.
《 Bevi!》
Obbedisco e porto la tazza di brodo alle labbra: la sorseggio nervosa e mi sento oltremodo a disagio. Dopo quello che ritiene sia sufficiente riprende la tazza dalle mie mani e l'appoggia su una scrivania.
Realizzo di essere nella camera di Byron e sentendomi meglio cerco di scendere dal letto.
《 Ma dove credi di andare?》
Mi guarda come se fossi una bimba, piccola, fragile nel suo pigiamino infantile.
Le gambe non mi sostengono, mentre mi affloscio a terra sento le sue braccia afferrarmi saldamente e stringermi a sé, per un istante sento il suo viso affondare nei miei capelli, poi come fossi una piuma mi adagia nel suo letto e mi rimbocca le coperte. Anche se non voglio il sonno mi cattura.

Mi sveglio che sto molto meglio, Byron è sulla poltroncina a fianco del letto, mi guarda apprensivo.
《 Come stai?》
Porto una mano alla gola che prima pulsava.
《 Decisamente meglio!》mette la sua mano sulla mia fronte, in una tenera carezza.
《 Non hai più la febbre!》
Guardo la radiosveglia sul comò segna le 23.
《 Mi dispiace davvero tanto!》 bisbiglio.
Scuote la testa ora è lui quello che sembra esausto.
《Dovresti riposare!》 gli suggerisco.
《 ...Disse la malata al dottore!》 ride.
《 Dai spostati.》sale sul letto, vestito, sopra le coperte, si sdraia al mio fianco e  mi guarda.
《Ora dormiamo!》 Ordina dolcemente.
Si allunga per spegnere l'interruttore della abatjour; mi sfiora e trattengo il fiato, si gira sul fianco verso di me ed anche se è buio sento i suoi occhi puntati addosso: non dormirò mai.

Invece dormo eccome.

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