Da quel sabato sera tutto è cambiato, da quel sabato sera la suite 189 è diventata la mia seconda casa: ne ho passate di serate a bere e ridere fin quanto ce n'era.
Così ora ritrovarmi nel portone dei Clark non è un'assurdità, ora che fondamentalmente Janet è diventata parte integrante delle mie giornate quasi non faccio più caso a quella strana reputazione che la sua famiglia si porta dietro.
Mi accoglie alla porta stupenda come sempre, la pelle decisamente bianco latte brilla sotto l'effetto di un leggero strato di trucco incorniciando un volto riempito da boccoli biondi.
Per quanto fredda possa sembrare, accetto anche questo suo silenzio sprezzante pur andare fino in fondo, pur di decifrare Justin.
Attraversiamo un'infinità di porte in stile ottocentesco, tutto è dannatamente bianco e lussuoso in questa casa persino i guanti dei camerieri che ci offrono spumante hanno piccoli diamantini come fiore all'occhiello.
Posso udire musica classica, è una melodia lenta e straziante probabilmente proviene da una delle tante stanze di questa villa eppure il rumore delle nostre louboutin sembra coprirlo.
Sono nervosissima, potessi riavvolgere il nastro e ritornare a quella sera di due settimane lascerei quel ragazzo ubriaco da solo eppure ora ci sono dentro a tal punto che mi viene difficile non provare una curiosità smodata nei suoi confronti.
Due ragazzi del personale lasciano scivolare gli occhi timidi sui nostri corpi, mi stringo nel mio abito di velluto nero cercando di coprire il profondo scollo a V che si insinua lungo il mio ventre.
Ricevo un'occhiata decisiva da Janet, per quanto si sia sforzata di non giudicarmi sento il suo sguardo bruciare sulla mia pelle e tentare di scomporre ogni mio angolo di personalità.
Porto istintivamente lo spumante alle labbra, l'orlo si colora del rosso del mio rossetto lasciando una stampa da labbra carnose.
Finalmente vengono aperti due grandi battenti, una stanza ovale ci si proietta davanti con i suoi mille specchi, i divani di pelle bianca imbottiti e i lampadari di cristallo.
Farsi avanti in questa stanza significa essere proiettata su mille pareti, risplendere di luce riflessa.
Non credo di aver avuto passo più deciso di stasera, come se fra mento alto e portamento fiero sia pronta per portare una corona.
La musica continua ad alzarsi impetuosa dal pianoforte a coda rigorosamente bianco al centro della sala, le spalle del ragazzo biondo si rivelano tese sullo strumento e ripiegate mentre le lunghe dita giocano a rincorrersi sui tasti.
E' da solo, degli altri nemmeno l'ombra.
Continua indisturbato, con il folto ciuffo che ciondola di lato, la bianca pelle segnata dall'inchiostro che sembra quasi soffocare alla luce artificiale, i mille tatuaggi sembrano sgorgare dal colletto stretto fino a far sudare.
La grande vetrata che dà sulla piscina è aperta ed entrano follate di vento solitarie, delle volte gli spartiti sembrano volare e confondersi eppure lui non sembra seguirli.
Per ogni spartito caduto al suolo, lui non cede.
Avanzo lentamente lasciandomi indietro Janet, lasciando forse indietro il buonsenso.
Poso il calice macchiato di rossetto su quel pianoforte, lo lascio come post-it alternativo incrociando appena i suoi occhi nocciola.
Sono profondi e turbati, potrei vederci sfumature così intense.
Si inumidisce le labbra lasciando scivolare lo sguardo sul calice macchiato, sulla mia pelle scoperta.
Manca una nota, poi un'altra ancora mentre piano piano mi allontano, potrei averlo distratto e a me piacerebbe interpretare questi suoi piccoli errori così.

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Shadows
FanfictionUn amore scelto e voluto da due persone vulnerabili, il destino in accordo con un passato truce. Una vita di eccessi, di litigi, di dipendenze emotive dove amare è ferirsi reciprocamente, volersi a tal punto da possedersi senza remore, scambiando c...