Ore 7.00
Los Angeles in pieno novembre per quanto monotona trova sempre il modo di sorprenderti, quasi come se tra foglie secche ed un paio di Dr. Martins la sigaretta all'angolo della strada, fra semafori rossi e ritardi sia una coccola in più.
Così sopporti il freddo poco pungente ed il traffico inesauribile, si vocifera sia un'attrazione turistica per chi non ha mai conosciuto la disperazione.
Lascio cadere l'ennesimo mozzicone rifiutando di alzare lo sguardo sull'enorme palazzo bianco, le imposte mal ridotte sono semi aperte e da quelle di tanto in tanto puoi scorgere la figura minuta di qualche infermierina.
Le finestre prendono a spalancarsi a canoni su di una distesa di città dall'aria malsana, qualcuno scotola dei fazzoletti colmi di molliche, qualche parente fuma nervoso una sigaretta.
Gli ospedali, il limbo dei fumatori.
A dividermi dal più famoso ospedale di Los Angeles solo alcune strisce pedonali sbiadite ed il via vai di motorini ed ambulanze.
Sono qui dalle sei, rido di me passando una mano sugli occhi rossi dal sonno: ho lo sguardo distrutto di chi non c'ha da perdere che una manciata di monete alle slot machine.
Non sono riuscita a tornare a casa, con che coraggio?
Il suo volto è impresso nella mia mente così come era pallido e assorto al momento dell'impatto, il dopo contornato dalle sirene dell'ambulanza è per me un vuoto.
Le urla, i pianti sono tutto ciò che mi rimane di una serata alla quale sono stata letteralmente strappata dai miei amici.
Ho litigato pesantemente con Kristal, probabilmente anche con Janet.
Ricordo il tintinnio dei pesanti bracciali di quest'ultima mentre affondavo le unghie nel suo braccio candido, aveva la pelle d'oca e le facevo male.
Ma cosa ci faceva lei là quella sera?
Se Alicia non avesse posto fine al mio attacco di panico, rasserenato le mie crisi respiratorie cercando di tenermi a stretto contatto con la realtà penserei che tutto ciò sia in realtà frutto di qualche mia allucinazione.
Non è così, più venivo carezzata dalle mani della mia amica più vedevo la figura di Janet incappucciarsi e parlottare con il resto della comitiva.
Stranamente affabile mentre familiarizzava con il pronto soccorso, mentre si appropriava del mio posto.
Non mi è stato bene, no.
Le sue labbra contro la fronte contratta di Juss sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso, si è innescata una tempesta.
Ho dato di matto, letteralmente: ho costretto James ad accompagnarmi, non lo ha fatto.
Una volta in macchina mi sono assopita, il calore e il crollo nervoso hanno fatto da loro ed io, io non mi sono potuta opporre.
Mi sono svegliata alle cinque stamane nel suo letto, ancora vestita e sfatta con un enorme braccio pesante che cingeva la mia vita.
Con il suo profumo lungo il collo e miliardi di interrogativi non c'ho visto più dalla rabbia, dalla stanchezza e dalla voglia di vedere il mio ragazzo: l'ho costretto a mettersi in piedi e a portarmi qui.
Il blu dei suoi occhi non m'ha mai trucidato, lo ammetto piuttosto mi ha compresa.
I corridoi di quest'ospedale sono affollati di gente impensierita e medici con cartelletta alla mano, di tanto in tanto da qualche stanza avanza con incedere indeciso qualcheduno ingessato e mal ridotto.

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Shadows
ФанфикUn amore scelto e voluto da due persone vulnerabili, il destino in accordo con un passato truce. Una vita di eccessi, di litigi, di dipendenze emotive dove amare è ferirsi reciprocamente, volersi a tal punto da possedersi senza remore, scambiando c...