Impossibile scordare quella notte di fine inverno, i nostri volti stanchi e quelle iridi che annegavano in un mare rosso sangue.
Lacrime e alcol stretti in un abbraccio patetico, apatico, indefinito.
L'automobile scivolava sull'asfalto con una straziante costanza, delle volte il mucchio di bottiglie di vetro vuote sui sedili posteriori tentennavano spezzando il silenzio dei nostri sguardi complici ma distanti.
Ubriachi marci, a vedere le linee bianche della strada sdoppiarsi e dopo poco ricongiungersi come le nostre vite.
Le nostre mani intrecciate al profumo di nicotina ed erba rimanevano immobili sul mio grembo, cercavano della stabilità.
Non parlarsi perché i nodi alla gola erano diventati catenacci, i sussurri silenzi.
La stazione radio saltava di frequenza in frequenza repentinamente cercando un po' di segnale oltre le fronde degli alberi tetri che si ripiegavano su di noi con i loro profili color petrolio, il cielo era di un blu sereno e profondo e si stagliava su quei campi deserti rischiarandoli con i raggi agentei del plenilunio.
Nel bagagliaio la tanica di benzina sussultava ad ogni buca presa per sbaglio, il liquido borbottava rumorosamente ed il mio cuore perdeva battiti.
Accostammo lasciando che i fanali illuminassero per l'ultima volta quei campi incolti che portavano in maniera indiretta allo Stabilimento, dopo quella sera avrei evitato quella fatiscente struttura che crollava a pezzi chiudendo così per sempre con il passato.
L'erba era alta e verde come le iridi del graffito che Justin aveva disegnato per me tempi addietro, camminarci dentro una tortura: nostri passi venivano costantemente accompagnati dal latrare di qualche animale ed i miei sussulti.
Eravamo arrivati al limite, pensai.
In tutti i sensi, in tutti i modi: ad un passo dall'ultima pasticca, dall'ultima lacrima, dall'ultimo litigio, ad un passo dalla paura di perdersi per poi continuare a cercarsi avendo di contro la sindrome di Stoccolma.
Il cancello della proprietà si delineò in un gioco di ombre a pochi passi da noi, i battenti spalancati grondavano ruggine intrisa d'acqua.
Justin rabbrividì, lo avvertii rallentare quel suo passo sicuro e stringere la mia mano nella sua con fare protettivo.
C'era poco da proteggersi, camminavamo con affianco i nostri fantasmi oramai da mesi.Affondai le unghie nella sua carne e ricordai quante volte quel gesto fosse stato uno spudorato "rimani."
Che ci siamo sacrificati, presi schiaffi in faccia, gridati contro che era finita solo per rivederci ancora una volta insieme seppure sempre a pezzi belli e tristi come coriandoli, dopo la pioggia su strade vuote.
La prima che incontrammo fu Kristal, il profilo completamente in penombra divorato dalle fiamme del fuoco e il ghiaccio degli occhi che non accennava a sciogliersi.
Si guardava attorno superba, gli anfibi infangati e le calzamaglie bucate.Mi vide e non proferì parola, si limitò a svuotare la bottiglia di Jack Daniel sui tronchi bagnati del grande falò che stava domando.
Le fiamme si alzarono voraci dalla pila di vecchi mobili, legna bagnata e cassette che sovrastava le nostre teste.<<Dannazione.>> si sentì imprecare.
C'era Lucas che ci veniva incontro inciampando nei suoi stessi passi, con i suoi boccoli ribelli e quelle iridi del più caldo dei colori. Trafisse per un attimo lo sguardo assente di Kristal.
Un solo attimo.
Lo vidi deglutire e scuotere il capo in senso di diniego.
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Shadows
FanficUn amore scelto e voluto da due persone vulnerabili, il destino in accordo con un passato truce. Una vita di eccessi, di litigi, di dipendenze emotive dove amare è ferirsi reciprocamente, volersi a tal punto da possedersi senza remore, scambiando c...