2.|The following day...

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"Let's set each other's lonely nights
Be each other's paradise
Need a picture for my frame
Someone to share my ring
Tell me what you wanna drink
I tell you what I got in mind
Oh I don't know your name
But I feel like that's gonna change"
- Company

           

Ho sempre ritenuto inutile fuggire dai pensieri, finiscono con il camminare affianco a te disinvolti.

Le lenzuola bianche si colorano di un arancio appena sfumato, sono umide di sudore e stropicciate da notti insonni immemorabili.

Aspetto pazienze che l'ultimo raggio di alba si specchi nell'oceano, proprio al di là di quell'acqua così dannatamente chiara.

Miami è meravigliosa vista da qui, prima che le nuvole bisticcino con il suo cielo terso e lo sporchino portandosi via lo strascico del mio subconscio.

E' da mesi, penso.

E' da mesi che non faccio che sognare la stessa roba, quasi stessi esaurendo la mia stessa linfa vitale riproducendo a raffica le stesse identiche visioni.

Ho paura di dormire: non riesco a trovare un filo logico a questo vuoto che mi inghiotte, a questa sensazione di diffuso malessere.

Ogni mattina ritrovarsi spaesati in una camera che di notte si trasforma in bosco, distesa su materasso percependo ancora le braccia dello sconosciuto e ansimante di respiri che potrebbero tranquillamente fare il loro corso.

Ogni mattina scendere giù in spiaggia, accoccolarsi nella sabbia, ginocchia al petto e salsedine fra i capelli.

Un bagno nelle incertezze.

Uscire di casa diventa però una necessità, difficile da spiegare.

La casa di zia Margaret è orrendamente enorme, ti ritrovi in trappola in mura dall'arredamento minimalista senza averlo neanche voluto.

Potrei fingere di starci bene dentro, aspettare che il sole sorga per riprendere in mano la quotidianità e magari nel mentre pensare a chissà che.

Ma non ci riesco.

Odio mentire, odio adattarmi.

Così anche stamattina mi ritrovo a scalciare la ghiaia del vialetto, con le mani attorno alle braccia perché la brezza mattutina è leggera ed io dimentico sempre la mia felpa.

Il casino che ho in mente si proietta su questi marciapiedi colmi di automobili e bottiglie di birra fatte a pezzi, serve a sentirsi meno soli immergersi in paesaggi insipidi.

Non sono propriamente una persona abitudinaria ma da quando sono qui e la notte si confonde con il giorno necessito di un equilibrio, equilibrio che ritrovo in pochissime cose.

Ripercorro il muretto del lungo mare per la decima volta, quasi barcollo inciampando sui miei stessi passi.

Uno, due, tre.

Ricorda quelle piccole avventure che facevo da piccola, quando saltellando da un muretto all'altro mi fingevo un pirata.

Conto nuovamente ignorando le onde che si infrangono a riva, fanno un rumore infernale come sempre ma tutto sommato tengono compagnia.

Sospesa fra interrogativi che non hanno volto o nome, in equilibrio sempre più precario fra ciò che vorrei scoprire e ciò che non so passo le mie mattinate.

Delle volte raccolgo conchiglie sulla battigia, il mare le restituisce sempre dopo un po'ed io sembro essere l'unica ad accorgersene.

Chissà che il mio subconscio non si decida un giorno a spiegarmi il perché di tale sogno, perché da un mese combatto con questi oscuri presagi.

Ci impiego un po' per tirar via la carta del lecca-lecca, la infilo nei miei shorts controvoglia mentre osservo il panorama da dietro queste spesse lenti da sole.

Viene difficile oggi non combattere con il vento e i banchi di sabbia, sembrano voler entrare persino dentro l'anima tanto è insistente il loro alzarsi.

Ritornerò in Italia forse tra qualche giorno e come ogni estate fingerò d'aver fatto quel qualcosa di più soggiornando qui in America.

Percepisco l'essere poliglotta una fortuna immensa, non è facile costruire su larga scala i proprio sogni.

Partire da zero presuppone tanto, troppo coraggio.

Zia Margaret è la sorella minore di mio padre, Alexandre Blanc, un ricercatore francese sposatosi e trasferitosi in Italia per sposare mia madre, Cassandra.

Margaret è perfetta in ogni suo dettaglio: i ricci biondo caldo spettinati, gli occhi celesti e profondi contornati da delicati strati di ombretto, il rossetto rosso onnipresente.

Ho sempre segretamente amato la sua vita da ricca imprenditrice, fatta di appuntamenti e alta società di cui afferro a stento qualche nome.

Non è anonima, questo per me è irresistibile.

Non riuscirei mai a trovare lì fuori una donna capace di eguagliarla.

Mi ha sempre sostenuta, ospitata, trattata alla stregua di una figlia eppure quest'anno sento di voler di più da me stessa, avverto d'aver sbagliato tutto in diciassette anni di vita.

Credo sia questo a muovere in me il desiderio di correre giù in strada con la prima cambiata trovata, le borse sotto gli occhi e i capelli costantemente disordinati.

Credo sia questo desiderio immutabile, insistente a volere che io cambi radicalmente qualcosa dentro o fuori di me.

Il lecca- lecca finisce con il gonfiare le mie labbra, litigo con ciocche di capelli e lo scollo della camicetta.

Mi lascio cadere inerte sul muretto con la mia playlist preferita in riproduzione e la voglia di tornare alla normalità. 

Un quadretto anni 50 incompleto, manca qualcosa ma non di certo il chiodo fisso.

<<Sono solo ombre, Belle.>>

Sussurra la voce nel sogno, ma io non capisco...

Di chi sono quelle ombre?

Il passato mi danza davanti, lo afferro ma non c'è niente.

Il suo? È pulito? Cosa ci tormenta? Cosa mi dovrebbe tormentare?

Chissà chi sei...

Chissà se esisti...

Chissà se mai ti incontrerò!

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