capitolo 20

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*****Ginevra*****

Leccarsi le ferite

Il viso mi fa male, ma quello messo peggio è il mio orgoglio. So che le parole di mio padre sono state tirate fuori dalla rabbia, che a mente fredda se ne pentirà, cosi come si mangerà le mani per quello schiaffo, ma indietro non si torna, ciò che lui ha detto resterà inciso nella mia mente come una scritta a fuoco sulla pelle.

Correndo mi ritrovo in palestra, capisco di essere stata prevedibile quando noto Alex in attesa alla reception, immagino mio padre lo abbia chiamato e che in qualche modo sarà lui a provare ad ammansirmi, ma non ci riuscirà ho troppa rabbia dentro.

Mi dirigo, senza neanche salutarlo, nello spogliatoio e aperto il mio armadietto, prendo le fasce per le mani. Le indosso rapidamente e raggiungo la sala dei pugili, guardandomi distrattamente in giro  avvisto un sacco libero, ne prendo possesso e provo a scaricare una parte dell'ira che mi ha provocato quanto è successo.

Fa male pensare, vorrei solo dimenticare, spegnere il cervello e non sentire il peso del mio fallimento. Non sento niente a livello fisico, non c'è dolore, né fatica, solo un enorme peso sul petto che dopo un bel po' riesce a farmi dimezzare il ritmo.

Lentamente mi fermo e aggrappata al sacco, riprendo fiato. L'odore del cuoio mi entra nelle narici e mi riporta al passato, a quando mio padre mi osservava allenarmi ripetendomi ogni istante quanto fosse fiero di me, delle mie vittorie, dei miei successi, ma dopo oggi, il dubbio di averlo deluso non esiste più, il suo posto è stato preso dalla certezza di averlo fatto.

Raggiungo a fatica lo spogliatoio e mi tuffo in doccia, lascio che l'acqua lavi via le lacrime e una volta finito mi rivesto in fretta. Esco dall'uscita secondaria dopo aver avvistato Alex appostato in corridoio probabilmente in mia attesa e rientro in autobus al Body Art.

Ester è ancora qui, seduta con il padre davanti ad un computer, mi viene incontro non appena si accorge della mia presenza.

"Stai bene?" Chiede afferrando il mio mento e facendomi voltare la testa in modo da osservare il mio volto.

"Tranquilla, ricordi cosa ti ho detto ieri sera, la mia pelle è molto sensibile, lo schiaffo non mi ha fatto male."

Mi lascia andare e continua a osservarmi, non so cosa cerca, se segni di cedimento o altro, ma non ho voglia di farle da cavia, la saluto e raggiungo lo studio per prepararmi a ricevere il prossimo cliente.

Danilo e mio padre, hanno ricavato tra le due stanze che usiamo per tatuare uno spazio interamente coperto di specchi, una stanza in cui i clienti possono vedersi a trecentosessanta gradi e osservare il nostro lavoro. Ci entro un attimo per recuperare un asciugamano che vi avevo lasciato al mattino e le superfici riflettenti mi rimandano l'immagine del mio volto decorato con cinque enormi dita. È vero non ha fatto male, non tanto almeno, ma mi resterà il segno per un bel po'. Sono ancora intenta a contemplare il mio volto quando Lorenzo Bianchi fa il suo ingresso nello studio chiamandomi con il suo vocione.

Lo raggiungo  e il suo enorme sorriso mi ridà un po' d'allegria. Lorenzo è un omone immenso, avrà quasi sessant'anni e pochi centimetri di pelle bianca. Da circa un mese gli sto decorando un polpaccio combattendo con la sua esagerata peluria, ogni volta mi tocca prima depilarlo, poi applicare un impacco emolliente sulla parte da tatuare, attendere che si assorba e poi procedere con il disegno. In tutto questo anche se è impossibile da credere, la soglia di sopportazione del dolore di Lorenzo è veramente bassissima, quindi di norma impiego ore per realizzare piccolissime porzioni del drago che ha scelto.

"Tesoro, che hai fatto al volto?"

Mi domanda guardandomi con attenzione.

"Niente di grave, non preoccuparti. Vieni iniziamo." Gli dico facendolo accomodare.

L'ultimo RoundDove le storie prendono vita. Scoprilo ora