Voglio cambiare

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Ho paura. Ho paura di rimanere da sola. Ho paura che le persone mi possano definire brutta, strana, grassa, antipatica, noiosa, stupida. Ho paura di non sapermi difendere e perciò di essere etichettata come quella da evitare.

Nella nostra società il rapporto con gli altri è basato soprattutto su parole dette tanto per dire, dette da tutti, che magari non pensiamo davvero ma che le diciamo;
e io odio quando succede questo.

Odio parlare con qualcuno che non fa altro che sparare parole quando invece persino io mi accorgo che non è ciò che pensa.
Odio passare come quella che ha bisogno di aiuto e che riceve frasi standard di supporto come -Mi dispiace- oppure -Ti capisco-, perché non è vero, a loro dispiace di non sapere come aiutarmi, non di vedermi soffrire e perciò non potranno mai capirmi.

Ho una specie di superpotere, cioè quello di riconoscere se una persona è sincera o meno. So riconoscere quando qualcuno mente agli altri o, nel caso peggiore, se qualcuno cerca in tutti i modi di mentire a se stesso.

In tutti questi anni non ho fatto altro che preocuparmi di ciò che pensano gli altri e perciò preferivo passare inosservata, non farmi notare. Col passare del tempo ho smesso di dire cosa pensavo, per paura che la mia opinione fosse diversa da quella della massa. Però adesso mi sono stancata.

Voglio ribellarmi a ciò che mi sono imposta, anche io voglio essere libera di dire e di fare ciò che voglio. Anche io voglio camminare per i corridoi della scuola a testa alta, anche io voglio partecipare ai corsi che più mi piacciono, anche io voglio vivere le situazioni belle e brutte della vita, anche io voglio andare alle feste, nei locali, alle uscite di gruppo. Anche io voglio ubriacarmi fino a stare male, ballare tutta la notte, sentire le farfalle nello stomaco, ridere fino a non reggermi in piedi, anche io voglio ricordare in un giorno lontano questi anni come i migliori della mia vita.

Voglio godermi tutto fino al limite, far conoscere la vera Anita agli altri; non voglio essere una persona passiva.

La mia insegnante di vita è stata una persona a me sconosciuta, ma che ho imparato a conoscere solamente in pochi giorni, all'età di 10 anni. L'ho conosciuta quando mi hanno operata urgentemente in ospedale. Quando arrivai, mentre i miei genitori parlavano con il dottore dell'operazione che avrei dovuto subire, la vidi mentre percorreva il corridoio con un sacchetto di caramelle in mano e entrava in tutte le stanze di quel reparto, uscendo poco dopo. Mi colpì soprattutto perché era evidente che faticava a camminare, molte volte si appoggiava al bastone della flebo a cui era collegata o alla donna che la accompagnava, ma nonostante tutto l'assenza dei suoi capelli mi faceva vedere chiaramente che sul suo bellissimo volto c'era sempre un sorriso.

Ne restai incantata ma dopo poco i miei genitori mi chiamarono per prepararmi all'operazione e di lì non vidi più niente.
Quando mi svegliai mi ritrovai in un letto con vari tubi nel naso e nella bocca che mi permettevano di respirare, un altro che mi permetteva di urinare e due flebo inserite nel braccio, una con del sangue e una con del liquido che evidentemete mi trasmetteva le sostanze nutritive di cui avevo bisogno.
Mi liberai di tutti quei tubicini quella stessa mattina, dopo l'arrivo dell'infermiera. Il dolore provato mentre me li sfilava era atroce, tremendo.

Quel pomeriggio ricevetti anche io la visita di quella ragazzina. Non era lo stesso reparto in cui la vidi il giorno prima e questa volta era da sola. Ricordo che nel mio reparto non fecero entrare i miei familiari perché sarebbero potuti essere potenzialmente contagiabili. Ma lei era lì.

Significava solo una cosa. Lei non correva il rischio di essere contagiata perché era immune a queste possibili malattie, perché forse già ce le aveva.

Entrò, allungò una caramella verso di me e aspettò che la prendessi. Risposi nervosa che non mi piaceva ma lei non mi ascoltò e la appoggiò sul comodino. Poi mi fissò. Pensai che guardava qualcosa dietro di me, ma poi mi accorsi che stava guardando i miei capelli lunghi e marroni che lei purtroppo non aveva. Ci guardammo per dei secondi che per me furono interminabili e mentre lei era impassibile, io quasi non riuscivo a respirare. Non riuscivo a reggere il suo sguardo.

Poi si girò e zoppicando se ne andò. Io restai quasi impaurita, sembrava una scena horror, ma al ritorno dell'infermiera non dissi nulla.

Il giorno dopo mi sposatarono in un altro reparto dove potevano farmi visita i miei genitori e mi permisero finalmente di camminare e di mangiare. Io volevo rivederla ma quel giorno non passò dalla mia camera. I dottori mi obbligavano a camminare per almeno un'ora al giorno e appena restai sola ne approfittai per andare di nascosto nel suo reparto, nel quale non potevo entrare.

E poi la vidi. Sulla barella, circondata da medici e infermiere che la portavano velocemente dentro una stanza mentre incitavano tutte le persone ad allontanarsi.
Ancora scossa tornai velocemente nella mia stanza, senza dire nulla a nessuno.

Il giorno dopo, ascoltando le conversazioni dei dottori, venni a sapere che due bambine erano morte in un altro reparto e il solo pensiero che una potesse essere lei mi lacerava. Non riuscivo a realizzarlo.

Anche se passava il peggio, le poche volte che l'ho vista era sempre sorridente, mai triste. Forse piangeva, ma non lo faceva davanti agli altri e si dimostrava forte.
Aiutava e consolava coloro che sentivano di essere la persona più sfortunata al mondo, quando invece era lei quella che soffriva più di tutti.
Dava a tutti una caramella nella speranza che le regalassero un sorriso e io invece ne ho avuto paura.

I giorni a seguire mi chiusi varie volte in bagno a piangere da sola al ricordo di lei che guardava i mei capelli come se fossero la cosa più bella al mondo e se venivo beccata dicevo che era per i dolori che mi provocavano i punti.

Non mi sono mai capita. Perché piango per una sconosciuta? Io davvero non ne ho idea. Non sono mai stata una tipa che si commuove facilmente. Ma grazie a lei ho capito molto. Un piccolo gesto può cambiare tanto.

Non sono mai stata brava con le parole, non sono una tipa sentimentale. Quelle frasi non le riesco a pronunciare neanche alle persone che hanno bisogno di sentirsele dire. Chiamatemi stronza, insensibile, egoista, ma se io non penso delle cose, non le dirò mai. Non ci riesco.

Il vero problema è che non riesco a far uscire parole dolci neanche quando le voglio realmente dire alle persone che mi fanno respirare un po' d'aria pura. Alle persone che rendono le mie giornate degne di essere vissute. A quelle che senza rendersene conto mi hanno regalato gioie infinite. Però ho cercato di rimediare con i gesti.

Non ne ho mai parlato con nessuno, ma è grazie a lei che penso che ci siano ancora persone sincere, forti e coraggiose al mondo.

Purtroppo l'ho conosciuta solo dopo tutti quegli anni che ho passato in silenzio avendo timore degli altri e perciò anche se voglio con tutta me stessa cambiare, mi è difficile perché io quei timori ce li ho ancora. Però quando mi guardo allo specchio mi dico: "Anita la vita e una sola, goditela finché puoi. A tutti quelli che ti giudicano lasciali giudicare, lo fanno solo perché sentono che solo così possono avere soddisfazioni, perché in realtà non ne hanno mai avute."

Mi presento: sono Anita Collins, la sconosciuta di cui nessuno si ricorda, una ragazza di 17 anni che ha tanto da dire ma che non è mai riuscita a farlo. Sono piena di insicurezze e di paure ma la vita non è come un film, se non faccio niente la situazione non cambierà e io voglio che cambi. Sto per ritornare a Manhattan e ho intenzione di fregarmene del parere degli altri, nonostante le figuracce che continuo a fare.

Perciò, persone che non conosco ma che continuano a giudicare, vi dico solo una cosa: andate a cagare.

Perciò, persone che non conosco ma che continuano a giudicare, vi dico solo una cosa: andate a cagare

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