2. Promesse infrante

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«Ehi, Nightshade. Hai intenzione di ordinare qualcosa prima o poi?»

Haley rispose con un mugolio. Alzò a malapena lo sguardo dalle proprie dita, incrociate sotto al bancone. Fra di esse giaceva un foglietto accartocciato che il fae non si era ancora deciso a buttare. Non era sicuro di volerlo fare. Non era più sicuro di niente.

Il proprietario della taverna - una mezza fata dai lineamenti duri e con due zanne da cinghiale ai lati della mascella - grugnì seccato, tornando a lucidare boccali e stoviglie con un panno sporco che doveva aver visto tempi migliori. Dalla sua espressione e dallo sfregare deciso contro il vetro era evidente che se fosse stato per lui avrebbe sbattuto Haley e Calum fuori dal locale seduta stante. Si stava trattenendo, ma soltanto perchè era risaputo non fosse una buona idea inimicarsi un Nightshade. Inoltre il biondo tendeva immancabilmente a perdere il controllo delle sue bevute e l'uomo non si sarebbe mai fatto sfuggire la possibilità di un così succoso guadagno.

Calum era un concentrato di parole quando beveva troppo, il che capitava abbastanza spesso. Haley non aveva idea del motivo per cui lo facesse. Glielo aveva chiesto più volte, ottenendo solo scrollate di spalle e sorrisi inebetiti come risposta. Per quanto il Seelie potesse sembrare estroverso, parlare di sé gli riusciva alquanto complesso, almeno per quanto riguardava il vero se stesso. Quando beveva invece, come in quel momento, chiacchierava a ruota libera con qualunque sfortunato di passaggio. Si faceva offrire da bere e lo imbrigliava in conversazioni senza capo né coda sulla sua emozionante - quanto inventata - vita da eroe. Come se non conoscessero tutti chi fosse. I pettegolezzi nel Regno Sotto la Collina viaggiavano a una certa velocità, soprattutto quando riguardavano punizioni e Sidhe caduti in disgrazia. La storia dei Millet era stata diffusa ovunque per anni dopo l'accaduto.

Haley sospirò e scuotendo la testa riaprì per l'ennesima volta il messaggio stropicciato. Si sentiva un vigliacco. Non riusciva a prendere una decisione, pur sapendo bene quale sarebbe stata la scelta giusta da fare. Invece si trovava ancora con un piede in due staffe, troppo spaventato per compiere il passo decisivo. Vigliacco, sciocco ed egoista. Non poteva vedersi diversamente.

Richiuse il pugno per poi gettare uno sguardo annoiato all'ambiente. Buio, squallido, odoroso di alcol. Lunghe e sporche tavolate illuminate a stento da candele di scarsa qualità occupavano gran parte dell'ambiente. Un gruppo di fae dalle forme ripugnanti rideva sguaiato poco lontano da lui e brindava alla morte di un vecchio compagno di bevute. Era una bettola, ma cosa ci si poteva aspettare nella collina dei Solitari? Sicuramente, se non fosse stato costretto, Haley non ci avrebbe mai messo piede.

Perso nei suoi ragionamenti quasi non si accorse della mano delicata che si era posata sulla sua schiena. Sbatté rapidamente le palpebre. Tornò nel mondo reale e si ritrasse di scatto. Qualcuno si era seduto sullo sgabello accanto al suo e ora lo stava fissando con un sorrisino oltremodo irritante. Haley espirò rumorosamente dal naso e cercò di concentrarsi sulle proprie mani, ma la nuova arrivata non sembrava voler cedere tanto in fretta.

«Che fai, non mi guardi nemmeno? Io sono Laurel» si presentò la ragazza, costringendolo con una mano a voltare il viso verso di lei.

«Non ti hanno mai detto di non parlare con gli sconosciuti?» la rimbeccò nella speranza che la sua mancanza di educazione bastasse a levargliela di torno. Non lo fece per cattiveria. Odiava soltanto essere toccato, o che gli parlassero quando non era dell'umore giusto. Non si sarebbe mai comportato male senza averne ragione, dopo gli esempi che aveva ricevuto.

Lei rise come se Haley avesse appena fatto una battuta esilarante. Cosa piuttosto improbabile, dato il black humor del fae. «Dubito che ci sia qualcuno, qui dentro, che non ti conosca almeno di fama. Ma se vuoi potremmo provare a conoscerci meglio» propose la ragazza, ammiccando maliziosa.

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