36. C'era una volta

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Il rumore di carta smossa ruppe il silenzio della stanza mentre l'ennesima cartina cadeva a terra, seguendo le precedenti sul tappeto. Haley allungò una mano per recuperarla e sovrapporla al foglio su cui stava lavorando. Seguì le linee rosse con la punta dell'indice, sovrappensiero. Poi, senza perdere il segno, stappò il pennarello con i denti e disegno un cerchio al centro esatto delle tre stelle. Sulla cartina corrispondeva a una zona boschiva a ovest della città. Non c'era nulla a distinguerla dalle altre. Nessun ruscello o strada. Niente, se non alberi su alberi. Per questo motivo, per quanto cercasse di confrontare mappe diverse, non era ancora riuscito a ottenere una visione precisa del luogo, che cominciava a sembrargli più un grumo verde che un vero indizio. Non era mai stato da quelle parti.

Sospirò frustrato, rigirandosi nervosamente una ciocca di capelli intorno a un dito. L'aiuto dei Cacciatori - sicuramente più esperti di lui per quanto concerneva la geografia di Teorann - gli sarebbe stato utile, ne era consapevole, ma se li avesse informati del suo piano non avrebbe potuto impedire loro di seguirlo. E non solo per la loro insistenza, ma perchè non avrebbe avuto le forze per farlo. Cominciava a temere l'idea di trovarsi da solo con suo padre. Voleva ancora proteggere gli altri, ma sarebbe stato difficile combattere contro le sue paure senza l'appoggio di qualcuno. Non ci era mai riuscito, in più di un secolo di vita.

Abbassò la mano, che scorse lenta sulla fronte. I suoi occhi vagavano opachi sulle strade stampate in giallo, interrotte soltanto da macchie verdi e dalle stesse linee rosse che aveva tracciato. Senza smettere di esaminare il foglio, posò la testa contro il palmo e raccolse le gambe al petto. Cominciava a vedere offuscato per la stanchezza. Aveva passato tutta la notte sul pavimento del salotto, con la sole luce dei lampioni a rischiarargli la vista. Era rimasto sconvolto dalle parole di Cedar e dalla scoperta del rito e la possibilità di ripetere il solito incubo lo turbava troppo per dormire. Così aveva gentilmente declinato l'offerta di Calum di fargli compagnia e subito dopo quella di Will. La ragazza lo aveva testardamente aspettato fino alle tre del mattino, seduta sul divano a gambe incrociate e in profondo silenzio, prima di cedere e rintanarsi nella camera che Cedar le aveva ceduto. Haley si era sentito sollevato. Aveva preferito restare solo, come sempre. Solo con le sue paure.

Chiuse gli occhi alla debole luce mattutina. Aveva piovuto per tutta la notte, alternando tuoni a lampi accecanti. Sentiva ancora la tensione accumulata stando rannicchiato accanto al tavolino per ore, e con il rombo dell'elettricità nello stomaco. Mosse lentamente il collo dolorante e si lasciò sfuggire un lamento quando percepì i muscoli tirare. Si portò subito una mano alle spalle per scioglierle, ma non ottenne grandi risultati. Le mappe lo osservavano ironiche dalla superficie di legno. Haley fece una smorfia e richiuse gli occhi. Voleva godersi la pace prima della tempesta. Presto avrebbe dovuto riprendere la solita recita e fingere che sarebbe andato tutto per il meglio. Era l'unica cosa che potesse controllare, ormai.

«Dovevo immaginare che saresti rimasto sveglio. E che quei pancake non li avrei più rivisti.»

L'Unseelie sbuffò una risata. Socchiuse appena gli occhi e voltò a fatica il capo, incrociando le iridi dorate di Calum da sopra una spalla. Il Seelie si era fermato contro la porta che introduceva alle camere da letto e i capelli schiacciati su un lato, uniti alle palpebre gonfie, erano segni lampanti che si fosse appena svegliato. Indossava anche un pigiama a scacchi decisamente ridicolo e lungo indosso a lui. «Non mi sembrava il caso di rischiare ancora una volta di innescare un incendio.»

Calum incrociò le braccia sul petto con aria ironica. «Stai cercando di farmi credere che non dipenda dal fatto che tu sia rimasto incollato a quelle mappe per tutta la notte cercando di scoprire il luogo del rito prima di noi?»

Il fae sobbalzò. Si girò di scatto verso il tavolino per nascondere la propria espressione spaesata, ma dubitava che l'amico ci sarebbe cascato. Sentiva il suo sguardo bucargli la schiena con la stessa intensità del giorno in cui gli aveva rivelato di voler tornare alla Corte. Strinse le dita sulle maniche della felpa e prese un respiro profondo per regolare la voce, mentre sentiva i piedi nudi di Calum calpestare il parquet e farsi sempre più vicini. «Volevo solo ottimizzare i tempi.»

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