14. Bugie notturne

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Il soffitto della sua camera non era un granché. Non che avesse una strana ossessione per i soffitti, ovviamente, ma continuare a fissare quel quadrato di cemento in particolare lo convinceva sempre di più del fatto che fosse davvero orribile. L'intonaco si scrostava a strisce e l'umidità impregnava l'aria con il suo odore malsano. Haley aveva un olfatto troppo acuto per ignorarlo, così come non riusciva a ignorare i rumori provenienti dal salotto e la fioca luce che filtrava dalla fessura sotto alla porta.

Non sapeva cosa stesse succedendo nell'altra stanza. Non sapeva nemmeno se gli interessasse, a dire il vero, ma ascoltare quel basso brusio era comunque meglio di ciò che l'avrebbe aspettato una volta chiuse le palpebre. Era da anni che gli incubi avevano smesso di tormentarlo, ma non avrebbe dovuto cantare vittoria troppo presto. Erano tornati da alcuni giorni, ormai, e con loro tutte le sensazioni negative che comportavano. Ogni notte era un tuffo nel passato. Di solito riusciva a gestirlo, ma non quel giorno. Semplicemente non sentiva di potercela fare. Così era rimasto sveglio, gli occhi impassibili fissi sullo squallido soffitto e le braccia incrociate dietro alla testa, sotto al cuscino. Sentiva le dita formicolare, ma preoccuparsene sarebbe stato troppo per lui, al momento.

I rumori là fuori continuavano. Sentiva delle voci discutere, ma non percepiva il tono acuto e altalenante di Calum, cosa che lo rilassò un poco, conscio del fatto che il Seelie stesse dormendo al sicuro nella sua camera. Si tirò comunque a sedere, posando la schiena contro la testiera del letto e gettando la testa all'indietro. Si sgranchì piano le dita sottili, intorpidite dalla posizione a cui le aveva costrette, per poi passarsele sul volto. Le lasciò scorrere verso l'alto, nel tentativo di liberare la fronte dai capelli selvaggi, prima di farle ricadere inermi sulla coperta ruvida.

Era la luce a disturbarlo, più del rumore. Gli permetteva di distinguere perfettamente i contorni spigolosi dell'armadio e della struttura del letto, unici arredi di quella camera angusta. In un certo senso, lo obbligava a concentrare lo sguardo su qualcosa, su mobili troppo simili a quelli che possedeva un tempo. Avrebbe rischiato di vederli coperti di sangue e no, non ci teneva ad avere una nuova crisi nel cuore della notte.

Prese un respiro profondo. Poi, seccato, afferrò la stoffa adagiata sul suo grembo e buttando a terra le lenzuola calde e bagnate di sudore posò i piedi sul pavimento, alla ricerca di un po' di refrigerio. Gli spifferi freddi gli raggiunsero le caviglie e la schiena umida, che si ricoprì subito di pelle d'oca, mentre il torpore del sonno lo lasciava di colpo. Scattò in piedi, come si strappa un cerotto, e camminò di soppiatto verso la camera di Calum, dove sperava di trovare riparo da quel disturbo notturno. Aprì piano la porta e, dopo aver ignorato qualsiasi parola proveniente dal salotto, se la richiuse subito alle spalle.

L'amico, a differenza sua, stava dormendo beatamente. Era impossibile fraintendere quel rumore cadenzato, simile al grugnito di un goblin, che proveniva dal suo letto. Haley si ritrovò a trattenere una risata. Sentire russare in modo tanto sgraziato quello che un tempo era stato il nobile figlio di un potente signore era un colmo, soprattutto per la Corte Seelie.

Tuttavia, il giovane Unseelie non si trovava lì per assistere al suo assordante concerto nasale. Si chinò quindi accanto al suo volto, affondato fra le coperte, per poi pinzargli il naso lentigginoso fra indice e pollice.

Calum mugugnò qualcosa di incomprensibile per alcuni secondi, cercando di liberarsi dal blocco improvviso. Poi spalancò gli occhi, puntandoli nelle iridi chiare di Haley. Sembravano quelle di un gatto, o di un grosso felino dalle zanne affilate, e Calum non potè impedire alla sua bocca di lanciare un gridolino spaventato, a cui seguì subito dopo un fiume di imprecazioni.

Haley si rimise in piedi, aspettando pazientemente che l'amico si riprendesse dallo spavento. Il fae lo guardava dal basso con le sopracciglia aggrottate e quel tipo di broncio che nasconde un forte istinto omicida. Sembrava un cucciolo di riccio. «Dimmi un po', questa è una vendetta per tutte le mattine in cui ti ho buttato giù dal letto o sentivi semplicemente la mia mancanza?»

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