7. Mauve

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La superficie immobile dell'acqua rifletteva la luce proveniente dalla finestra del salotto come uno specchio. Sembrava quasi che la bacinella contenesse una distesa di cielo. Non il cielo azzurro dei pomeriggi estivi, piuttosto quello cupo di una giornata nebbiosa. Quel tipo di giornata in cui ti sembra di camminare nel vuoto, circondato dal bianco più imperscrutabile e senza via di fuga.

In quel momento, di fatto, Cedar non si sentiva diversamente. Sapeva di non avere molte alternative. Posto davanti a un problema avrebbe sempre cercato di cavarsela da solo, con i propri mezzi, ma ci sono situazioni in cui l'orgoglio crea soltanto problemi, e il bugul si rendeva perfettamente conto di non potercela fare da solo. E, nonostante il fastidio, sapeva anche che l'unica persona in grado di aiutarlo era anche l'unica che avrebbe evitato con piacere.

Cedar si passò una mano sul volto e tornò a fissare la superficie riflettente di fronte a sé. Davanti ai suoi occhi, tuttavia, non trovò il proprio riflesso: da ore ormai quell'acqua era stata incantata e utilizzata come mezzo di comunicazione fra il bugul e alcune sue vecchie conoscenze. Doveva trovare delle informazioni, indizi, pettegolezzi, qualsiasi cosa potesse essere di aiuto alla missione. Era davvero disposto a tutto pur di ricevere un minimo punto di partenza da cui cominciare ad indagare.

Al fatto che tutto quel lavoro fosse stato inutile, Cedar preferiva non pensarci. Aveva speso l'intero pomeriggio in quel modo, seduto sul parquet scheggiato del soggiorno, una bacinella metallica davanti alle gambe incrociate e la sua Energia costantemente impegnata nel tenere vivo l'incantesimo. Era stremato e mortificato. Davvero non voleva arrivare a tanto. Non voleva dover ricorrere a lei, abbassarsi a chiederle un favore. Non era mai stato un tipo testardo, ma la sua era una questione di principio. Eppure, poteva forse sottrarsi al suo dovere? Aveva le responsabilità sulle sue spalle. I ragazzi erano fuori ad indagare dal mattino e lui non aveva ancora cavato un ragno dal buco. Non era da lui, affatto, e questo lo scocciava più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Schiuse le labbra con fatica, ingoiando l'amaro che aveva in gola e schiarendosi la voce tenuta a lungo muta. «Mauve» disse alla fine, con un tono atono e perfettamente controllato, a dispetto del disordine nella sua mente. Si pentì di aver pronunciato quel nome nello stesso istante in cui lo fece, ma quel che era fatto era fatto. Ed era giusto così, tentò di convincersi.

Osservò con ansia il movimento concentrico del liquido, raggrumatosi in una spirale cangiante, un piccolo mulinello al centro del contenitore. Poi, l'immobilità tornò a regnare sull'elemento. L'unico cambiamento stava nelle immagini riflesse. Ora, più che a uno specchio, la superficie somigliava ad un vetro trasparente, oltre il quale si apriva un'altra stanza, in un'altra casa di un altro mondo. E, infatti, così era.

Mauve viveva a Faerie da sempre. Non si era mai spostata dalla sua baracca, nascosta fra i rovi dei boschi Unseelie, circondata e abitata da decine di corvi dal piumaggio nero e lucido. Il terreno circostante e gli stessi pavimenti della casa erano coperti dalle piume cadute, dai loro resti e, spesso, dai loro bisogni. Era un posto disgustoso e maleodorante, intriso di un'aura tetra e opprimente come il sacco sulla testa di un condannato a morte. Mauve era una fae di basso lignaggio, come dimostravano i suoi occhi completamente bianchi e il colorito verdognolo della sua pelle, ma possedeva un'intelligenza acuta, quel tipo di intelligenza che solo i pazzi possiedono. E Mauve non era mai stata sana di mente.

Lo spazio al di là del pelo dell'acqua era immerso nel buio, ma si potevano scorgere gli spigoli di un vecchio tavolo in legno e di vari soprammobili impolverati. I lucidi occhi dei corvi, appollaiati negli angoli della stanza, scintillavano sinistri in tutta quell'oscurità.

«Mauve» ripeté, stavolta con voce più flebile. I brividi gli correvano lungo la spina dorsale come un getto di acqua gelida. Cercò di non darlo a vedere. Avere paura di una vecchia, ecco a cosa si era ridotto.

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