11. Da preda a predatore

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Le persone erano più nervose di primo mattino. Calum ne aveva avuto la prova almeno una decina di volte nelle ore in cui era rimasto di pattuglia: solo poco prima era stato incenerito dalle occhiatacce del ragazzo in divisa dietro al bancone. Lo aveva identificato come il locandiere dello strano posto in cui stava soggiornando. Lo chiamavano "caffetteria", ma al Seelie sembrava piuttosto di essere morto e finito direttamente nell'Aldilà per la fantastica quantità di dolci che conteneva. Forse i rimproveri del tizio riccioluto erano state causate proprio dalla condensa che il suo naso incollato al vetro aveva prodotto, ma di questo non poteva essere certo. In ogni caso, come se non bastasse, i passanti continuavano a voltarsi nella sua direzione, squadrandolo con un'aria decisamente troppo snob per i suoi gusti. Era pur sempre un Sidhe, non era abituato a essere guardato dall'alto in basso come un volgare popolano.

Calum fece una smorfia, continuando imperterrito a fissare l'entrata del negozio dall'altra parte della strada attraverso la vetrina del bar. Era in missione, ma fuori faceva decisamente troppo freddo e inoltre il biondo non aveva la benché minima intenzione di farsi scoprire da un'orda di Cacciatori armati. Haley poteva pure arrabbiarsi quanto voleva: pur di avere salve le ali avrebbe sopportato questo e altro, sebbene odiasse litigare con lui.

Bevve un sorso del succo di frutta che aveva ordinato, sempre senza staccare gli occhi dall'edificio. Era davvero un posto inquietante, dalle pareti scure e con le sbarre alle finestre. Non era certo però che anche gli umani potessero vederlo allo stesso modo: spesso gli stessi Cacciatori ricorrevano all'aiuto di fae sotto pagamento per nascondere i propri segreti. Tuttavia, osservando il modo in cui i passanti evitavano di passarci di fronte, come sospinti da una forza invisibile, Calum decretò che doveva essere perlomeno incantato, se non inesistente agli occhi dei mortali.

Il Seelie sbuffò, appoggiando svogliatamente il viso sul palmo di una mano, il gomito puntato sul ripiano di legno bianco. Haley me la pagherà per questo. Stamattina non mi ha nemmeno preparato i pancake che mi aveva promesso. Diede un morso al suo croissant, lo sguardo omicida che vagava sugli altri tavolini della caffetteria. I due bambini seduti accanto a lui continuavano a piangere, mentre la madre sembrava impegnata a far funzionare un rettangolo metallico e luminoso. Calum non aveva idea di cosa fosse, ma sapeva per certo che se la donna non avesse prestato attenzione ai due piccoli umani nei prossimi cinque minuti li avrebbe buttati fuori da lì a calci. Con classe, ma pur sempre a calci.

Sospirò ancora una volta, riportando gli occhi sull'oggetto della sua indagine. «Stupido, bugiardo, insensibile Unseelie. Devo smetterla di farmi incantare dai suoi falsi occhi dolci, dannazione. Finirò per farmi uccidere» borbottò fra i denti. La realtà era che si stava decisamente annoiando. Era un fae, non poteva resistere all'inattività per così tanto tempo! Doveva fare uno scherzo a qualcuno. Ne aveva bisogno.

Spostò nuovamente gli occhi sulla sala, scrutando con attenzione i clienti. Scartò subito i due ragazzi in fondo al locale. Erano due armadi, se l'avessero sorpreso a ridere della loro sventura non sarebbe andata a finire bene, per lui. Eliminò anche la signora anziana dietro di lui, perché era pur sempre un gentil fae. Fu con un ghigno divertito che posò infine lo sguardo sulla donna con i bambini e sempre ridacchiando si concentrò sul bicchiere pieno d'acqua davanti a lei. Lo osservò tremare per qualche secondo, prima che il liquido al suo interno traboccasse direttamente sopra il marchingegno fra le mani della sua vittima.

La donna strillò, lasciando cadere a terra lo strano oggetto. I due neonati smisero all'istante di piangere, cominciando invece a ridere e a battere le manine paffute.

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