16. Fra bianco e nero

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Aveva cominciato a piovere. Le gocce di pioggia ticchettavano contro i vetri della finestra con un ritmo rapido, frenetico. Trasmetteva a Cedar una certa ansia; ansia per il futuro, per il presente, forse persino per il passato. Non ne era certo, non era sicuro del motivo per cui fosse nervoso. L'unica cosa che sapeva, al momento, era di star sprecando tempo utile.

Il bugul osservò per l'ennesima volta le righe di sporco create dalla pioggia lungo le lastre trasparenti, domandandosi dove fossero finiti i due fae, cosa stessero facendo, perché continuassero a nascondergli la verità. Seduto sul divano logoro del salotto, con decine di fogli sparse di fronte a sé e altrettante linee tracciate su di essi, si chiese ancora una volta cosa fosse giusto fare. Era conscio della risposta, ma non gli piaceva affatto. Non era qualcosa di cui sarebbe stato orgoglioso. No, Cedar non voleva mettere ancora una volta nei guai Haley rivelando la sua mancanza di collaborazione alla Regina. Tuttavia un bravo consigliere, quale affermava di essere, non avrebbe indugiato un secondo prima di denunciarlo. Ed ecco il problema: doveva comportarsi da consigliere reale o da amico? Non che Haley lo considerasse tale, ma Cedar aveva sviluppato un attaccamento verso il fae fin da quando l'aveva conosciuto, appena nato. Con un padre del genere, non poteva fare altro che provare un minimo di compassione nei confronti di quello scricciolo dagli occhi seri.

Il bugul sospirò, posando il viso fra le mani tozze e scuotendo la testa. Non gliene andava bene una, ultimamente. Il suo spirito critico, analitico, gli impediva di lasciarsi andare allo sconforto, ma anche la sua intelligenza, per quanto vasta, aveva dei limiti. In quel momento non riusciva a capire più nulla. Aveva provato diverse strade per comprendere lo schema disegnato sulle mappe di fronte a sé, quel gioco confuso di linee, i collegamenti fra le scene degli omicidi. Niente. Non aveva trovato niente. Inizialmente aveva pensato che si trattasse di un cerchio, era stato entusiasta della sua intuizione, tanto da condividerla con Haley e Calum senza riflettere. Con l'ultimo omicidio, però, si era ribaltato tutto: non rientrava nel cerchio. Certo, forse l'assassino era stato interrotto, magari doveva ancora trasferire il corpo. Magari, forse, se. Supposizioni, ecco cos'erano. I fatti dicevano tutt'altro. E sebbene volesse davvero porre fiducia nella logica ferrea del suo ragionamento, l'istinto gli diceva di star sbagliando alla grande. Contando inoltre il buco nell'acqua che aveva fatto investigando nell'area che aveva determinato come centro del tutto, beh, c'erano davvero poche speranze che la sua prima ipotesi fosse corretta.

Povero, vecchio Cedar. Ormai non sei più buono nemmeno per svolgere il tuo lavoro. E non riesci neanche a tenere sotto controllo due fae con meno di cento anni alle spalle. Davvero, il bugul era sconsolato. Se soltanto Haley avesse avuto più fiducia in lui, se avesse continuato a svelargli i suoi dubbi come aveva fatto i primi giorni, forse sarebbero riusciti a capire qualcosa. Insieme, come una squadra. Invece eccolo lì, un inutile bugul in preda alla confusione, senza nessuno con cui confrontarsi. Cosa aveva sbagliato? No, non aveva sbagliato, sapeva perfettamente come stavano le cose: Haley non si sarebbe mai fidato di qualcun altro oltre a se stesso e al suo amico lentigginoso. Non poteva biasimarlo, certo, dopo ciò che aveva sentito sul suo conto. Avrebbe soltanto voluto aiutarlo, in qualche modo. O almeno riuscire a svelare quel dannato mistero una volta per tutte.

Stava per gettare all'aria ogni risultato del suo lavoro, forse lanciando direttamente il basso tavolino in legno fuori dalla finestra, in modo da interrompere il fastidioso ticchettio, quando un rumore diverso gli fece drizzare le grandi orecchie a punta. Sembrava un lamento, il gemito di una persona dolorante.

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